Libro bianco sull’innovazione della PA

Il libro bianco sull’innovazione della Pubblica Amministrazione è il risultato di un percorso collaborativo promosso da FPA con l’obiettivo di costruire un’agenda dell’innovazione per la nuova legislatura.

Il libro bianco, nella sua prima stesura, è stato in consultazione dal 28 giugno al 15 settembre 2018 e sono stati registrati oltre 200 commenti.

Questa è la versione finale partecipata del libro bianco, edizione 2018

Perché questo Libro Bianco

Lo scorso anno FPA ha avviato un ambizioso percorso di riflessione introducendo, come filo conduttore della propria attività, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile promossi dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con l’impegno di raggiungerli entro il 2030. Obiettivi, fatti propri dalla gran parte dei Paesi a livello mondiale e finalizzati a risolvere problemi come il lavoro che non c’è, la sicurezza percepita come precaria, la tutela della salute, la qualità dell’ambiente, la crescita delle disuguaglianze. L’orizzonte di riferimento resta questo, ma se siamo d’accordo su cosa fare, analoga chiarezza non c’è su come farlo e ragionevoli dubbi si sollevano sulla capacità della nostra macchina istituzionale, nelle sue diverse articolazioni, di essere in grado di gestire i processi di innovazione nei diversi ecosistemi.

A questo ritardo di carattere strutturale, nel 2018 si è aggiunta la preoccupazione legata al passaggio di legislatura e all’avvio di un nuovo governo, con il conseguente rischio di fermare e far ripartire da zero i processi di modernizzazione lentamente avviati.

Per questo FPA ha deciso di avviare un processo di advocacy partecipativo finalizzato a sostenere la centralità dei processi di innovazione in atto e a scongiurare un completo reset di quanto già realizzato.

Il Libro Bianco rappresenta il primo risultato di questo processo, volto a sensibilizzare chi è deputato a gestire la modernizzazione della PA a non essere tentato da nuove rivoluzioni, ma a condividere un percorso capace di valorizzare le cose già fatte ed individuare il metodo migliore per aggiungerne di nuove.

Il percorso

Il Libro bianco sull’innovazione della PA rappresenta il contributo della community di innovatori di FPA alla costruzione di un’agenda condivisa dell’innovazione per la XVIII legislatura. Il documento è il risultato di un percorso collaborativo articolato in diverse fasi.


Ascolto della community

Il percorso è stato avviato alla fine dello scorso anno con una prima fase di ascolto della community di innovatori di FPA, finalizzato a raccogliere commenti, riflessioni e suggerimenti sullo stato dell’arte di alcuni temi di particolare rilevanza strategica: dalla riforma della PA alla trasformazione digitale, dalla sanità al procurement pubblico, dalle politiche urbane alle quelle per il lavoro e l’istruzione.

Per ciascun tema, abbiamo chiesto alla nostra community di rispondere a tre domande chiave:

  • cosa non dobbiamo assolutamente rischiare di perdere di quanto fatto in questi ultimi anni?
  • quali sono le iniziative e i progetti che non hanno prodotti i risultati sperati e che necessitano quindi di essere aggiornati, o in alcuni casi, abbandonati?
  • quali cose nuove è importante mettere nel programma della prossima legislatura?

Ne è scaturito un ricco patrimonio di conoscenza, in gran parte contenuto nei 60 contributi a firma di importanti protagonisti dell’innovazione raccolti nella nostra rubrica «Caro governo», a cui si aggiungono le 46 videointerviste disponibili nella playlist “L’innovazione che vorremmo


FORUM PA 2018

L’analisi svolta nei primi mesi del 2018 ha contribuito ad alimentare il ricco programma congressuale della 29° edizione di FORUM PA (Roma, 22-24 maggio 2018).

L’intera Manifestazione è stata concepita come un importante momento di confronto, elaborazione e proposizione finalizzato alla redazione di un programma d’innovazione della PA da mettere, con determinazione, sulla scrivania del nuovo Governo. Un confronto che ha visto la partecipazione di oltre 16.000 innovatori che hanno partecipato ai quasi 250 incontri in programma.

Tra questi, sono stati selezionati circa 25 tra convegni e grandi scenari, progettati con lo specifico obiettivo di redigere alcune possibili raccomandazioni per valorizzare quanto si è già fatto, individuare quanto rimane ancora da fare (definendo una chiara gerarchia di priorità) ed esaminare con onestà le iniziative che si sono rivelate sbagliate o che non hanno prodotto gli effetti attesi.

I risultati emersi sono stati raccolti in una prima versione del Libro Bianco, rilasciata il 28 giugno 2018, al termine di una fase di rielaborazione e sistematizzazione curata dal team di FPA.


Consultazione pubblica

La prima versione del Libro Bianco ha rappresenta il tassello iniziale di un percorso di confronto proseguito nei mesi successivi alla Manifestazione di maggio.

Una prima fase di consultazione, avviata il 21 giugno 2018 con l’obiettivo di validare il lavoro di rielaborazione svolto da FPA, ha visto il coinvolgimento di una platea ristretta composta da:

  • contributori della rubrica Caro governo e più in generale, alla fase di analisi preparatoria svolta da FPA prima di maggio;
  • moderatori e relatori dei convegni di FORUM PA 2018 finalizzati all’elaborazione delle raccomandazioni.

Dal 28 giugno, giorno della sua pubblicazione, fino al 15 settembre, il Libro Bianco è stato posto in consultazione pubblica fino al 15 settembre. Durante questo periodo, il documento si è ulteriormente arricchito degli oltre 200 contributi pervenuti, da semplici annotazioni e note di commento a vere e proprie proposte di modifica o integrazione alle raccomandazioni.

Al termine della fase di consultazione, i contributi più significativi e i suggerimenti proposti sono stati integrati nella versione definitiva del documento.

Struttura del documento

Il Libro Bianco sull’Innovazione della PA è strutturato in 4 capitoli.

Il capitolo introduttivo, intitolato Dall’Open Government all’Open Governance, illustra la visione di fondo del documento, descrivendo il cambio di paradigma necessario a favorire il cambiamento e contrastare la burocrazia difensiva all’interno della PA italiana, attraverso il coinvolgimento dei diversi attori pubblici, privati e del non profit nella progettazione e gestione dei servizi avanzati.

I tre capitoli successivi sono invece dedicati a tre grandi cluster tematici, corrispondenti ai principali percorsi di Forum PA 2018:

  • il capitolo 2, intitolato Nuovi processi per la PA abilitante è dedicato ad alcuni dei principali processi di trasformazione organizzativa attualmente in corso all’interno delle pubbliche amministrazioni, abilitati dall’uso sapiente delle tecnologie digitali:
  • pubblico impiego e dirigenza;
  • nuovi modelli organizzativi;
  • partecipazione e trasparenza;
  • comunicazione pubblica;
  • gestione documentale;
  • procurement pubblico;
  • il capitolo 3 è dedicato in maniera specifica al processo di Trasformazione digitale della PA, e in particolare allo stato di avanzamento dei più importanti progetti strategici dell’Agenda Digitale italiana e al percorso di attuazione delle principali componenti del Piano triennale per l’informatica nella PA:
  • governance dell’innovazione;
  • servizi e piattaforme per la cittadinanza digitale;
  • interoperabilità e once only principle;
  • infrastruttura e cloud;
  • sicurezza informatica;
  • dati pubblici;
  • tecnologie emergenti;
  • il capitolo 4 è dedicato alle principali Politiche verticali per la sostenibilità monitorate da FPA nel quadro della strategia italiana per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) sanciti dall’Agenda 2030 dell’ONU:
  • sanità;
  • lavoro e occupazione;
  • città e territori;
  • energia e ambiente;
  • istruzione e formazione.

A ciascun tema corrisponde un paragrafo, che contiene:

  • una sintesi dello scenario attuale, corredata da dati e statistiche relative alla situazione attuale, da una ricognizione di piani, programmi e normative sviluppate nel corso della passata legislatura e da un’analisi del loro stato di attuazione;
  • l’indicazione delle principali priorità su cui agire, individuate dai protagonisti della community di FPA coinvolti nell’analisi preparatoria pre-Forum PA e nei principali appuntamenti della Manifestazione di maggio;
  • una lista di raccomandazioni inerenti ciascuna priorità d’azione, sviluppate a margine del dibattito svolto in alcuni convegni selezionati di Forum PA 2018.

Le raccomandazioni contenute in ciascun paragrafo differiscono tra loro in base al grado di maturità del tema trattato; possono quindi consistere in semplici suggerimenti, segnalazioni o “punti di attenzione”, fino a vere e proprie proposte operative.

Le raccomandazioni non rappresentano necessariamente la posizione di FPA o dei membri della community coinvolti nel processo di elaborazione del documento, ma costituiscono il risultato di un lavoro di sintesi che si propone come il punto di partenza di una più ampia riflessione sulle proposte avanzate nel documento.

1. Dall’Open Government all’Open Governance

Come abbiamo più volte messo in evidenza nel corso di quest’anno, la PA che ci troviamo davanti nelle sue molteplici espressioni e articolazioni, che vanno dai grandi Ministeri al piccolo Comune montano, dal grande ente nazionale alla piccola USL, è una PA ancora in cerca di paradigmi di innovazione, di un progetto condiviso che informi di sé il lento agire quotidiano. Lo abbiamo ripetuto spesso, appunto. Il cambiamento ci vuole e ci vuole netto. L’innovazione deve investire la parte istituzionale, organizzativa e culturale e trovare nella trasformazione digitale un formidabile alleato.

Il percorso della nostra PA verso una profonda trasformazione, invece, è ancora incompleto. Per semplicità abbiamo usato una descrizione articolata su quattro livelli.

Al primo livello c’è la PA burocratica dove prevale ancora nettamente il paradigma bipolare: da una parte ci sono le istituzioni, dall’altra le famiglie, le imprese e i soggetti del terzo settore. È la PA dove il cambiamento viene spinto da leggi e normative rinovellate, generando quella cultura per cui l’innovazione corrisponde ad un ulteriore adempimento. È la PA che emerge dagli atti, pubblicati in ottobre, dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie della comunicazione”. Atti, dai quali emerge, appunto, come, solo per fare un esempio, a fronte dell’opportunità offerta dal nuovo CAD di individuare un responsabile a cui affidare “la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità” gran parte degli uffici ha trasformato quest’occasione in un ulteriore adempimento andando a stravolgere il senso dell’iniziativa. Degli otto responsabili nei Ministeri che hanno seguito la norma, “uno solamente è risultato essere in possesso di una laurea idonea al ruolo ricoperto, nel caso specifico in ingegneria informatica. Nei rimanenti sette casi: cinque sono in possesso di una laurea in giurisprudenza, uno in medicina e chirurgia e uno in ingegneria civile”.

Al secondo livello c’è l’approccio funzionale di quella PA che riconosce all’innovazione un importante ruolo per il miglioramento dei servizi. La cultura prevalente è quella dell’egovernment. È una cultura che viene da lontano, da più di vent’anni fa, dai programmi comunitari, come eEurope2005, che prefiguravano un’Europa più vicina ai cittadini con il diffondersi e l’affermarsi dei servizi online. Un percorso mai completato a cui si riferiscono ancora gran parte delle iniziative strategiche in corso, come SPID, PAGOPA, l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. Ai cittadini viene data importanza, ma come destinatari dei servizi finalmente innovati. Gli esempi tipici sono gran parte dei portali informativi e di servizio di molte amministrazioni centrali e locali.

Al terzo livello c’è la PA collaborativa. I processi di innovazione sono funzionali ad un nuovo rapporto con i cittadini e le imprese. La cultura prevalente è quella della trasparenza dinamica, dell’open government e della cittadinanza attiva. Vengono raccolti i feedback dei cittadini, viene incentivata la partecipazione al monitoraggio dei servizi, si sostiene la creazione di community. Fanno parte di questa categoria le recenti iniziative del Ministero della pubblica Amministrazione e dell’innovazione sul Terzo Tempo o i progetti a “scuola di Open Coesione”, ma sono soprattutto le città, sia grandi che piccole, il livello istituzionale dove più si sta sperimentando questo approccio.

Infine, c’è la PA abilitante, l’innovazione viene considerata funzione di un nuovo modo di intendere lo Stato. I dati e gli strumenti operativi sono rilasciati per e insieme ai cittadini e agli attori locali (imprese, istituzioni locali) al fine di costruire nuovi servizi innovativi e innovare quelli esistenti. Con la PA condivisa, adottando in pieno il paradigma dell’open government, si realizza il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale volto a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Purtroppo, e questo denota l’approccio verticistico e quindi mistificante al tema, oramai la terza gamba dei tre principi dell’open government, quella della collaborazione, è scomparsa dai documenti ufficiali dove invece si parla di trasparenza, partecipazione e cittadinanza digitale tradendo un approccio vecchio e insostenibile di una PA bipolare, magari per alcuni versi illuminata, ma sempre come cosa “altra” rispetto alla molteplicità degli attori sociali.

Al contrario, una PA abilitante non può che scaturire dalla collaborazione dei diversi attori coinvolti. È la precondizione per quelle che Goldsmith, nel suo ultimo libro[1], chiama governance distribuita e dove funzionari, cittadini e partner esterni lavorano insieme per ottenere migliori risultati per la comunità. Riprendendo i temi sviluppati precedentemente nel suo Governare con la rete[2], Goldsmith evidenzia che per favorire il cambiamento e combattere la burocrazia è indispensabile il lavoro comune di tutti gli attori locali dell’innovazione. La PA deve fare riferimento a un modello organizzativo che abbandoni la logica verticale a favore di una orizzontale, in grado di coinvolgere i diversi attori pubblici, privati e del non profit, nella progettazione e gestione dei servizi avanzati. Tale obiettivo può essere perseguito attraverso il riconoscimento e la promozione delle reti e delle connessioni sociali, il governo di processi decisionali inclusivi e di progettazione partecipata e l’uso sapiente delle tecnologie andando a configurare una piattaforma, un sistema socio-tecnico in grado di abilitare e sostenere lo sviluppo. Da questa prospettiva la PA abilitante diventa una casa aperta di processi, di informazioni, di dati prodotti dai diversi attori e frutto della collaborazione fra questi.

Dobbiamo passare dalla metafora della macchinetta automatica a quella del bazar. Nel primo caso, la PA viene descritta come un distributore in cui, inserendo le monete (le nostre tasse) riceviamo un prodotto o un servizio. Per quanto moderna ed evoluta (magari in grado di ricevere un feedback del servizio offerto) rimane un servizio esterno, dove solo pochi fornitori sono ammessi a vendere i propri servizi e, spesso, l’unico modo che ci rimane, a fronte di un problema della macchina nell’erogazione, è di scuoterla violentemente. Nella metafora[3] del bazar, al contrario, la comunità dei venditori si scambia beni e servizi[4] in una logica di collaborazione e competizione nell’ambito di uno spazio comune che è il mercato. Le dimensioni moderne del mercato sono le piattaforme come Amazon e Airbnb che hanno rivoluzionato l’economia di questo secolo favorendo l’incontro tra i diversi attori in uno scenario mondiale[5]. Piattaforme abilitanti che, come scrisse Francesco Profumo, devono essere pensate per «la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano»[6].

Se caliamo queste considerazioni nelle dinamiche attuali ci rendiamo conto che ci troviamo davanti ad un paradosso, evidente soprattutto a chi ha seguito i lavori di FORUMPA 2018.

Da una parte c’è un paese che non si arrende, che crede nel ruolo dell’innovazione per meglio competere, per ridare centralità alle istituzioni pubbliche nei processi di crescita territoriale. Un paese fatto di innovatori dentro e fuori la Pubblica Amministrazione e che trovano in FORUM PA un momento di incontro, di crescita e di confronto. In questa edizione 237 incontri, tra laboratori, convegni e momenti di lavoro collaborativo, con quasi 16mila partecipanti. Tre giorni di intensa partecipazione da parte di rappresentanti della PA centrale e locale, operatori qualificati e dirigenti delle principali aziende tecnologiche. Al centro del confronto, i temi strategici per l’agenda politica del Paese e quelli di frontiera del digitale, come l’agenda urbana condivisa, il lavoro pubblico, la programmazione europea post 2020, la gestione, analisi e integrazione dei dati, la sicurezza ICT, la blockchain, la connettività e il 5G, l’internet of things e l’intelligenza artificiale.

Dall’altra parte c’è una struttura amministrativa e politica disallineata con la realtà. Una PA dove prevale ancora la cultura della burocrazia difensiva, una politica che continua ad invitare gli italiani a guardarsi l’ombelico piuttosto che a costruire un futuro condiviso. Nei dibattiti recenti si è parlato di tutto meno che di come sia necessario che la politica si impossessi di una visione organica di futuro, in grado di guidare l’Italia in un progetto di “Paese verso il 2030”, compatibile con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ONU.

Per questo è necessario immaginare e progettare una PA rinnovata e aperta alla collaborazione con i territori, le imprese, le istituzioni. L’innovazione digitale rappresenta non un settore o una politica specifica, ma l’unica vera piattaforma abilitante.

A questo scopo, l’edizione di FORUMPA di quest’anno vuole essere un grande momento di lavoro collaborativo per proporre, tutti insieme, un modello operativo per allineare la nostra PA con il futuro.

Questo Libro bianco è una tappa importante di questo percorso che ci auguriamo possa essere di aiuto per il paese.


[1] A New City O/S. The Power of Open, Collaborative, and Distributed Governance.

[2] Governare con la rete. Per un nuovo modello di Pubblica amministrazione, IBS, 2010.

[3] Questa metafora venne per prima introdotta da Donald F. Kettle nel suo The Next Government of the United States: Why Our Institutions Fail Us and How to Fix Them, WW Norton & Co, 2008.

[4] Eric Raymond, The cathedral & Bazar, O’Really, 1999.

[5] Geoffrey G. Parker,‎ Marshall W. Van Alstyne,‎ Sangeet Paul Choudary, Platform Revolution: How Networked Markets Are Transforming the Economy and How to Make Them Work for You, W: W. Norton Company, 2016.

[6] Francesco Profumo nella prefazione al libro di Andrea Granelli Città intelligenti? Per una via italiana alle Smart Cities, LibreriaUniversitaria, 2012.

2. Nuovi processi per la PA abilitante

2.1 Pubblico Impiego

La scorsa legislatura ha visto un corpus legislativo importante, che è derivato per massima parte dalla legge delega sulla riforma della PA n. 124 del 2015, e che ha modificato in molti aspetti chiave il pubblico impiego. Dalla definizione dei fabbisogni alle nuove regole per le assunzioni e i concorsi, dalla ripartenza della contrattazione alla valutazione dei dirigenti e delle organizzazioni, dal lavoro agile alle nuove regole per i provvedimenti disciplinari, diversi decreti legislativi si sono succeduti per mettere ordine in un campo in cui ancora moltissimi sono gli squilibri.


Lavoro nelle pubbliche amministrazioni

Probabilmente, vista anche la lentezza della divulgazione di dati certificati sul lavoro pubblico che è ferma alla situazione a fine 2016, molti degli effetti delle riforme ancora non sono diventati visibili. Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni1, ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la PA italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila “nuovi dipendenti pubblici”, mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione. Un personale vecchio - età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60 -, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della PA, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.


Continuità dell’impegno, reputazione e immagine del lavoro pubblico

In questa fase delicata di avvio della nuova legislatura appare quanto mai necessario una doppia azione della politica tesa da una parte a non ricominciare da zero, cancellando un quinquennio di riforme importanti e ancora non metabolizzate, dall’altra a ridare fiducia e reputazione ad un comparto, come quello del lavoro pubblico, che ha subito negli ultimi dieci anni pesantissimi attacchi che ne hanno minato sia la credibilità sia la fiducia.

Raccomandazione 2.1a - Adottare una drastica riduzione della produzione normativa in tema di pubblica amministrazione, concentrandosi invece su semplificazione e azioni di accompagnamento

Si chiede al nuovo governo una moratoria legislativa sui temi della pubblica amministrazione. Basta leggi, o almeno si pratichi una drastica riduzione lasciando solo i provvedimenti che servano a ridurre altre leggi, a diminuire significativamente gli adempimenti, a semplificare i procedimenti e tagliare gli oneri amministrativi in un’azione di semplificazione che richiede tenace pazienza. Non è tempo questo di nuove norme, ma di manuali, di azioni di accompagnamento e di “cura” delle riforme. In particolare per un tema così delicato, come il lavoro pubblico, che interessa la professionalità e la vita stessa di oltre tre milioni di cittadini, è importante impegnarsi in un lavoro continuo orientato alla crescita delle persone in un clima di ritrovata fiducia: fiducia della politica verso l’amministrazione, dei lavoratori pubblici verso la politica, dei cittadini verso entrambi e viceversa (della politica e dei lavoratori pubblici, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, verso i cittadini).

Raccomandazione 2.1b - Valorizzare le buone pratiche realizzate dagli enti italiani e promuoverne la diffusione

Appare necessario, per quell’indispensabile ripristino delle condizioni della fiducia, avere la massima attenzione alle diversità di ogni tipologia di amministrazione, dal piccolo comune al grande ente centrale, mettendo in evidenza sempre le tante eccellenze presenti, nate spesso dall’impegno di una unità organizzativa e dei suoi dirigenti, che devono trovare pubblicità, apprezzamento dell’opinione pubblica, effettivi riconoscimenti da parte del governo centrale. Si tratta di un aspetto fondamentale, ancora troppo sottovalutato: la leva reputazionale è molto più potente di quanto si immagini, e può compensare l’attuale egemonia del premio di tipo monetario. Anche appoggiandosi a agenzie indipendenti, il governo dovrebbe curare un catalogo ricco e aggiornato di “buoni esempi”, che porti con sé anche la strumentazione amministrativa utile per replicarlo. La creazione di luoghi e strumenti per lo scambio di informazioni tra pubbliche amministrazioni (analisi dei contesti, confronto delle criticità, condivisione delle soluzioni, pubblicità delle buone prassi) abiliterebbe reti di organismi con obiettivi e proposte operative condivise, favorendo anche l’ottimizzazione delle risorse disponibili e la condivisione di professionalità a costo zero.


Età, qualifiche e assunzioni

Come si legge con grande evidenza dai dati, la PA italiana non è troppo numerosa né costa troppo rispetto ai nostri concorrenti europei, è però troppo vecchia, poco qualificata in generale (ha una percentuale di laureati molto più bassa degli altri paesi europei) e per i particolare compiti specifici a cui oggi è chiamata, è mal distribuita, a causa anche della funzione di ammortizzatore sociale che ha espletato in molte regioni del nostro mezzogiorno. È quindi necessario un’azione che sia soprattutto di riordino organizzativo, che non si può fare “contro” i dipendenti pubblici, ma solo “insieme ”a loro e alle loro organizzazioni.

Raccomandazione 2.1c - Lanciare una grande campagna di reclutamento di giovani leve e nuove professionalità

Occorre utilizzare al meglio le norme appena varate sul l’analisi dei fabbisogni e sulle assunzioni per lanciare una grande campagna per reclutare giovani a lavorare per lo sviluppo equo e sostenibile della loro comunità nazionale. Una campagna che cerchi i migliori nelle qualifiche oggi indispensabili, ma che immaginiamo importanti anche per la PA dei prossimi trent’anni. Una PA che non sia fonte di autorizzazioni, certificazioni ed adempimenti, né che lavori ancora su un paradigma bipolare che vede da una parte i cittadini e dall’altra le istituzioni, ma che esca dai “palazzi” per essere regia e stimolo delle forze vitali delle comunità territoriali. Una campagna che cerchi quindi registi dello sviluppo, negoziatori, project manager (non solo nel campo del procurement pubblico), analisti e architetti dei dati, e tutte quelle professionalità che si espletano nel paradigma della rete. Per far questo, sarà necessario rafforzare il brand della PA come posto di lavoro dinamico, che rende possibile la crescita professionale e le carriere basate sul merito, che sia definitivamente uscito dal paradigma fordista rappresentato plasticamente dal tornello e dalla maniacale attenzione alla presenza fisica, anche attraverso un’applicazione più spinta del lavoro agile.

Raccomandazione 2.1d - Rivedere drasticamente il sistema di selezione dei dipendenti pubblici, aggiornando strumenti e criteri di selezione in base ai nuovi fabbisogni

Curare una revisione drastica degli strumenti di selezione del personale pubblico che, se vogliamo che sia all’altezza dei compiti che oggi ha la PA, non può essere reclutato con strumenti così rozzi come sono ora i concorsi che si pongono come principale obiettivo non la ricerca dei migliori, ma il rafforzamento di automatismi che da una parte deprimono le responsabilità dirigenziali, dall’altra, privilegiano, per evitare qualsiasi contestazione, strumenti poco raffinati che nessuna organizzazione privata userebbe. Test attitudinali, colloqui approfonditi, esame qualificato dei curricoli e delle esperienze, risultati raggiunti anche in altri campi, ma anche propensioni, passioni, responsabilità assunte devono entrare a far parte, almeno per le figure direttive, di qualsiasi processo di selezione che deve quindi essere affidato a strutture competenti e non a commissioni di funzionari che tendano a riprodurre se stessi. Nessun cambiamento della PA sarà possibile senza un deciso cambiamento nell’attirare e scegliere i migliori, e prospettare loro delle carriere (o meglio: esperienze) motivanti, qualificanti e gratificanti, non soltanto dal punto di vista economico.

Raccomandazione 2.1e - Promuovere un nuovo piano di formazione dei dipendenti pubblici, sfruttando le opportunità della Programmazione Europea e le sinergie con le eccellenze universitarie

Occorre curare un rilancio della formazione dei dipendenti pubblici, che sconta uno sciagurato taglio del 50% deciso con la legge finanziaria per il 2009, e che può contare ora di molto meno di quell’1% della massa salariale che pure era nella legge sin dal Ministro Frattini (2001/2002). Una formazione che sia empowerment delle organizzazioni, costruzione di comunità educanti, nascita di gruppi di miglioramento, ma anche formazione puntuale su temi che sono ora indispensabili per qualsiasi lavoratore pubblico. Occorre inoltre prevedere corsi ad hoc per i lavoratori over 50, che potrebbero manifestare difficoltà di apprendimento e che più di altri necessitano di una conciliazione dei tempi di vita. Le risorse della programmazione europea sono indispensabili per questo obiettivo e non vanno disperse in mille rivoli. Occorre inoltre rilanciare la collaborazione con le eccellenze universitarie italiane per creare una modalità di formazione e aggiornamento non sporadica ma continua per tutto il personale, anche grazie al supporto degli strumenti di e-learning. Pare inoltre opportuno rafforzare l’istituto del diritto allo studio per i dipendenti pubblici, anche attraverso agevolazioni sulle tasse universitarie o la promozione di master ad hoc riservati al personale della PA.

Raccomandazione 2.1f - Garantire la qualità e la funzionalità dei servizi e dei prodotti formativi attraverso un sistema nazionale di governo della formazione per la PA

Occorre definire indicatori della qualità delle iniziative di formazione e provvedere ad una sorta di accreditamento delle agenzie incaricate della loro progettazione ed erogazione e di valutarne i risultati. L’esigenza di creare un “mercato regolato” della formazione pubblica si pone non tanto per le amministrazioni statali, dove la situazione è presidiata dalla Scuola nazionale dell’amministrazione, quanto per le amministrazioni regionali e soprattutto per quelle locali, dove si registrano interessanti esperienze (come, da ultimo, l””Accademia per l’autonomia” che l’ANCI e l’UPI hanno gestito, in collaborazione con il Ministero dell’Interno), ma non esiste un sistema organico e strutturato di gestione della formazione, che garantisca adeguati standard qualitativi.

Organizzazione e modelli flessibili e adattivi

Spinta da una necessità, pur virtuosa di tagli e di risparmi, è venuta a crescere nelle politiche per il pubblico impiego una tentazione grave di ipercontrollo centralista. tentazione perniciosa perché separa autonomia da responsabilità, ma che spesso si accompagna, insieme alla bramosia del controllo totale, a congiunture difficili per la finanza pubblica. questo centralismo efficientista porta con sé ancora due altri gravi pericoli: in primis la tentazione di vedere una notte in cui tutti i gatti sono grigi, in cui tutti i Comuni sono uguali e tutte le aziende pubbliche hanno gli stessi problemi e gli stessi rischi. Ne consegue la continua tendenza a ipernormare, ma anche di dare scarso o nessuno spazio alla diversità, all’autonomia

L’altro rischio è quello di una continua confusione tra patologia e fisiologia: questo approccio parte dall’idea che poiché esistono patologie, si deve organizzare la vita per prevenire le patologie. Occorre certamente punire le patologie, ma non si può pensare che tutto sia patologico.

Raccomandazione 2.1g - Rimettere il disegno dell’organizzazione alla responsabilità del management e alla contrattazione con le organizzazioni di rappresentanza dei dipendenti

Sarà necessario tenere nella massima considerazione la diversità delle amministrazioni e le loro specificità evitando con ogni cura di normare l’organizzazione. Il disegno dell’organizzazione è il precipuo compito del management, che ottiene i risultati proprio combinando le risorse a disposizione in modo ottimale. Sarà a tal proposito anche necessario lavorare a stretto contatto con le organizzazioni dei lavoratori pubblici, operando soprattutto nel perimetro della contrattazione decentrata che meglio di quella nazionale, può tenere conto delle specificità. Il difficile equilibrio tra la legge, l’autonoma responsabilità della dirigenza e gli strumenti della contrattazione ha visto negli ultimi anni visioni anche completamente diverse. È necessario tornare ad un più equilibrato rapporto che lasci alla legge solo la visione politica e gli obiettivi generale.


Dirigenza pubblica

Il decreto legislativo sulla dirigenza, figlio della legge delega del 2014, era insieme al testo unico del pubblico impiego e al decreto sulla valutazione, parte di una triade destinata ad incidere profondamente sul lavoro pubblico. Il decreto però è stato cassato da una sentenza della Corte Costituzionale e non è stato più ripresentato.

Ci troviamo quindi in una situazione in cui gli altri due decreti sono operativi, ma manca proprio il pilastro legato alla dirigenza.

Che ce ne fosse bisogno è indubbio: giungla retributiva, carriere chiuse, scarsa chiarezza nei meccanismi di assegnazione degli incarichi, poca flessibilità sono difetti immediatamente visibili in una dirigenza che soffre anche per un’età avanzata, per uno squilibrio nelle qualifiche che vede una assoluta predominanza dei saperi giuridici e una quasi totale assenza di saperi tecnici, per una marcata differenza tra amministrazioni sia nelle retribuzioni, figlie di privilegi incrostati, sia nel numero assoluto rispetto ai dipendenti.


Incarichi fiduciari, spoil system, rapporto con la politica

La dicotomia tra chi vorrebbe una dirigenza di carriera, diciamo sul modello francese (almeno nella sua vulgata, perché anche lì le cose stanno cambiando) del tutto indipendente dalla politica, e chi vorrebbe invece la possibilità di uno spoil system più ampio dell’attuale, mettendo in luce la necessità che il manager che attua le politiche sia in sintonia con chi le ha disegnate, ha caratterizzato, a cominciare dalle feroci polemiche sui direttori generali dei Comuni, almeno gli ultimi quindici anni.

È però una dicotomia falsa, perché si deve partire dalla constatazione che non esiste un’unica figura dirigenziale, ma che ne possiamo a questo fine definir almeno due. Il manager pubblico, a cui si chiede di gestire un’unità operativa che attui le politiche indicate dalla politica eletta, e il manager responsabile di una funzione autorizzativa, di controllo o di gestione di appalti, convenzioni e concessioni. Mentre per il primo il rapporto fiduciario con la politica è elettivo, per il secondo dobbiamo pensare a salvaguardarne l’indipendenza.

Raccomandazione 2.1h - Superare la contrapposizione tra visioni dicotomiche (spoil system vs indipendenza), individuando diverse tipologie di dirigenza

Individuare nell’ambito della funzione dirigenziale tipologie diverse per cui sia possibile pensare a diversi incarichi sia fiduciari sia del tutto indipendenti dalla politica. Nel primo caso prevedere strumenti efficaci di check&balance, nel secondo verificare una ragionevole rotazione degli incarichi, che tenga però opportunamente conto delle competenze specifiche necessario all’esercizio di quell’incarico (in particolare per i ruoli tecnici). In questa operazione non bisognerebbe perdere il fuoco di quei fattori comuni che differenziano il lavoro dei dirigenti (tutti) da quello degli altri dipendenti pubblici. In primis, bisognerebbe analizzare i sistemi di gestione contabile vigenti nei diversi comparti della PA e a quanti dirigenti è attribuita effettivamente un’autonoma responsabilità di spesa.


Il dirigente della PA del futuro

I dirigenti che sceglieremo oggi saranno quelli che saranno a capo delle amministrazioni peri prossimi decenni. Ci serve un manager moderno, europeo, conscio delle potenzialità della trasformazione digitale, esperto nella gestione e nella crescita delle persone. Il punto è come rendere desiderabile ai migliori il lavoro pubblico, come selezionare il dirigente giusto, come tenerselo e farlo crescere.

Raccomandazione 2.1i - Rendere desiderabile e appetibile il lavoro nella PA

Per reclutare i migliori è necessario attuare azioni di informazione presso le università: tutti gli atenei organizzano per i propri studenti e laureati momenti di incontro con aziende alla ricerca di risorse da inserire in organico. Queste occasioni non vengono mai sfruttare dalle amministrazioni. Occorre passare da un atteggiamento di attesa delle candidature ad un atteggiamento di stimolo verso Ie figure potenzialmente più interessanti (ovviamente occorre agire parallelamente sui concorsi: vedi raccomandazione 2.1d).

Raccomandazione 2.1l - Favorire la mobilità dei dirigenti, sia tra mondo pubblico e privato, sia a livello Europeo

Un manager moderno deve poter spaziare su più contesti lavorativi. Deve essere favorita al massimo sia l’osmosi tra il pubblico e il privato che, prevista già dalle riforme Bassanini, non ha trovato applicazione reale nella PA dove la stragrande maggioranza dei dirigenti apicali proviene da una carriera solo pubblica. Altrettanto deve essere considerata determinante un’esperienza in un contesto europeo, meglio se presso le strutture dell’Unione. Ovviamente deve essere considerata condicio sine qua non la conoscenza di una o meglio due lingue comunitarie e una cultura almeno di base della trasformazione digitale, cosa del tutto diversa dal saper usare gli strumenti.

Raccomandazione 2.1m - Prevedere nuove forme di lifelong learning per i dirigenti

È necessario prevedere per tutta la dirigenza una formazione continua (sulla falsariga della ECM in sanità) che sia basata però non tanto su momenti frontali, quanto sulla costruzione di comunità di pratica trasversali, organizzati anche con le professionalità di soggetti terzi, e su momenti di coaching.


Valutazione delle performance

Valutare le performance, organizzativa ed individuale, non significa semplice osservanza di procedure, ma capacità di produrre cambiamento in avanti per tutti, superando anche la cooptazione, tutta italica, che ha da tempo dimostrato nei fatti come in generale siamo più “amici e parenti” che cittadini responsabili.

Le riforme degli ultimi anni hanno permesso di fare passi in avanti, anche se per permettere di elevare la pubblica amministrazione italiana occorre certamente liberarla da pesi che, più che normativi, sono organizzativi e comportamentali: la valutazione è stata insieme sopravvalutata nei suoi effetti sistemici, minimizzata negli effettivi impatti, sia individuali che per le organizzazioni, e infine trascurata nella sua esecuzione.

In un processo mondiale di crescente competitività del sistema, si gioca sempre di più, oltre che su fattori interni all’economia su condizioni esterne, sia in termini di dotazioni infrastrutturali/materiali che immateriali/di sistema. Una pubblica amministrazione che funziona è una pubblica amministrazione che sa valutare e scegliere dove andare.

La valutazione delle performance correttamente intesa, ossia non come «ulteriore adempimento», ma come processo realmente volto al riconoscimento dei meriti e al miglioramento continuo sia del singolo che dell’organizzazione nel suo complesso, può rappresentare un fondamentale driver di sviluppo e innovazione.

Di questa necessità macro dovrà tener conto subito il nuovo Governo.


Il ruolo della valutazione

La valutazione è stata oggetto di numerose e diverse riforme nell’ultimo ventennio, tutte probabilmente giustificate, ma che non sono riuscite a far uscire tale pratica dal novero degli adempimenti e delle carte da riempire.

Opinione diffusa tra gli addetti ai lavori è che in Italia la valutazione delle performance venga fatta spesso male, per ‘Amministrazioni distratte’ che la percepiscono come dovere quando va bene, e come strumento retorico quando va male.

Fondamentale per la crescita del paese diventa pertanto la diffusione di una cultura della valutazione, che non può essere lasciata né alla legge, né tantomeno ad una classe di tecnocrati, ma che dovrebbe ispirare tutta la programmazione sia da parte della politica che individua gli obiettivi, sia da parte dell’amministrazione che definisce i modi dell’attuazione.

Raccomandazione 2.1n - Promuovere il principio della valutazione come parte integrante della programmazione, stabilendo però obiettivi effettivamente raggiungibili dalle diverse amministrazioni

È necessario che passi nei comportamenti delle organizzazioni il principio che la valutazione è parte fondamentale della programmazione, e che gli indicatori e gli strumenti vanno definiti in quella fase, in questo senso la valutazione deve prendere in considerazione soprattutto gli outcome, i benefici effettivi per il pubblico target. Già il D.lgs. 74/2017 nell’ambito della riforma Madia lo stabilisce con chiarezza individuando degli obiettivi “generali” della Repubblica. Sarà poi necessario che gli organismi preposti (in questo momento il Dipartimento della Funzione Pubblica) non assegnino alla valutazione compiti impossibili. Non ha senso valutare organizzazioni che non hanno organici adeguati per numero o competenze, non hanno modelli organizzativi efficaci, non hanno la gestione di adeguate risorse né economiche né strumentali.

Raccomandazione 2.1o - Correlare in modo stretto il piano delle performance degli enti alla digitalizzazione dei processi e dei servizi dell’ente stesso

Il Governo, anche attraverso l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), dovrebbe verificare il rispetto dell”art. 12 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), in base al quale:

  • le amministrazioni pubbliche, nella redazione del piano di performance, dettano disposizioni per l’attuazione del CAD (comma 1-bis);
  • l’attuazione delle disposizioni del Codice è rilevante ai fini della misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale dei dirigenti (comma 1-ter).

Raccomandazione 2.1p - Dare corpo alla Rete Nazionale per la valutazione delle amministrazioni pubbliche

Occorre avviare la Rete Nazionale per la valutazione, che deve assumere la conformazione di un sistema multi-livello, con agenzie (o soggetti analoghi) di comparto che monitorano i sistemi di valutazione delle singole amministrazioni, rilevando le differenze di contesto e le affinità di comparto. Occorre poi assicurare che ciascuna agenzia monitori e indirizzi un numero contenuto di amministrazioni, in modo tale da garantire scambi e relazioni tra persone, oltre alla produzione e all’analisi di documentazione e dati.


Gli Organismi Indipendenti di Valutazione

Il d.lgs. n. 74/2017 di riforma del d.lgs. n. 150/2009, interviene modificando il sistema di misurazione delle performance, attribuendo agli OIV nuovi poteri e capacità di iniziativa per il miglioramento della valutazione, con riflessi sull’organizzazione amministrativa, inserendo alcune novità all’interno del processo valutativo con la partecipazione diretta dei cittadini e degli utenti in grado di poter segnalare le proprie osservazioni, incrementando la trasparenza nell’attività pubblica. Tale decreto non sembra aver sortito ancora gli sperati effetti nemmeno nella sua formale esecuzione, se è vero che il monitoraggio del Dipartimento della Funzione Pubblica rileva decine di ritardo e di inadempimenti.

Raccomandazione 2.1q - Rivedere criteri di selezione, ruolo e status dei componenti degli OIV

Sarà necessario curare maggiormente la selezione (che non può essere solo per titoli e su base volontaristica, che trova uno stop solo in assenza dei titoli necessari o se è presente un impedimento di legge), il ruolo e lo status dei valutatori degli OIV. Occorre ridurre al minimo, o meglio eliminare, gli organismi monocratici laddove manca la necessaria dialettica interna. Costruire insieme ai valutatori stessi un codice deontologico della professione. Curare il mantenimento e l’aggiornamento di competenze e professionalità adeguate e sperimentate attraverso una continua formazione in itinere che sia obbligatoria per la permanenza nell’elenco (una sorta di Coverciano dei valutatori). Elevare i limiti di partecipazione a più OIV nell’Elenco Nazionale DFP. Ridurre drasticamente gli adempimenti amministrativi degli OIV, che da valutatori si sono ridotti a burocrati produttori di report adempimentali.

Raccomandazione 2.1r - Dare avvio al sistema di formazione degli OIV previsto dalle norme

Occorre adottare un approccio innovativo che contempli meccanismi di peer review, che consentano per un verso di monitorare il loro operato e per l’altro di individuare gradualmente dei criteri di selezione e valutazione, da rendere pubblici nell’ambito della Rete. Ipotizzare percorsi formativi differenziati per comparto.

Raccomandazione 2.1s - Adottare un modello valutativo a 360°, con l’MBO focalizzato su progetti innovativi, di natura qualitativa e quantitativa, realizzati

Prevedere nella parte variabile del premio al dirigente, una quota significativa di premio legato ai suoi risultati in tema di innovazione, di progettualità sia tecnica che organizzativa. Sempre ai fini del premio annuo ai dirigenti ed alle PO, introdurre meccanismi valutativi dal basso, in termini di feed-back dai collaboratori, mediante indagini di customer continui e ripetuti nel tempo.


La valutazione da parte di cittadini e utenti

Pur se normato più volte è previsto esplicitamente sia nella Riforma Brunetta che nella Riforma Madia, il contributo del giudizio dei cittadini singoli o associati nella valutazione delle organizzazioni è ancora di là da venire. È mancata tutta la regolamentazione che potesse dar vita alle norme. Ma è mancata soprattutto sia la volontà effettiva di realizzazione di questa rivoluzione copernicana, sia la fiducia che questa avrebbe portato effettivo giovamento. I cittadini quindi sono stati spessissimo richiamati dalle norme, ma mai chiamati davvero a dire la loro.

Raccomandazione 2.1t - Avviare forme di auditing civico

Occorre avviare sperimentazioni serie e verificabili di auditing civico in diverse tipologie di enti, attraverso un investimento importante sia di risorse, sia di relazioni con i soggetti della cittadinanza organizzata. Occorre inoltre dare evidenza dei risultati delle sperimentazioni e discuterli con la dirigenza apicale degli enti.

Raccomandazione 2.1u - Spingere ogni ufficio pubblico a esplicitare la propria utenza, interna ed esterna

Tipicamente, le amministrazioni centrali rifuggono dall’obbligo relativo alla valutazione da parte dell’utenza, affermando di non erogare servizi diretti ai cittadini. Va invece affermato il principio secondo cui ogni ufficio pubblico - inteso non soltanto come PA, ma come singola struttura con a capo un responsabile - deve necessariamente avere un’utenza (interna o esterna), pena la sua inutilità (e dunque l’eventualità che sia soppresso). Bisogna affermare con forza che per ottenere una valutazione della performance davvero efficace, ciascun ufficio pubblico deve prima esplicitare qual è la propria utenza e poi deve attivarsi per ascoltarla, sia ai fini della programmazione che a scopi valutativi (ovviamente senza attribuirle alcuna esclusività).


2.2 Nuovi modelli organizzativi

Il progresso amministrativo non potrà che allontanarsi sempre di più dal mero adempimento formale dei dipendenti pubblici, in favore di una crescita a 360 gradi, che veda un giusto bilanciamento tra digitalizzazione dei processi e empowerment del personale amministrativo, declinato in tre rivoluzioni trasversali:

  1. Concepire la transizione digitale come leva per un’organizzazione efficiente;
  2. Favorire i meccanismi di lavoro flessibile orientato al risultato;
  3. Completare il processo di crescita digitale dei dipendenti pubblici.

Impatti organizzativi della Digital Transformation

La transizione della PA verso modelli organizzativi adeguati alle sfide dell’innovazione sostenibile non può prescindere da un corretto rapporto con l’evoluzione tecnologica. Una delle principali caratteristiche dell’innovazione digitale è la sua pervasività: non esiste aspetto o attività, all’interno di qualsiasi organizzazione complessa, che non sia interessato dal cambiamento paradigmatico imposto dall’avvento delle tecnologie del digitale. Al giorno d’oggi, non ha più senso parlare di IT a supporto del business, in quanto tutti i processi core dell’ente sono (o dovrebbero essere) intrinsecamente basati sulla tecnologia.

Raccomandazione 2.2a - Promuovere nuovi modelli di interazione tra direzione IT e strutture di business, improntati alla collaborazione e al concetto di rete

Molte delle strategie di trasformazione digitale adottate dalle amministrazioni vengono considerate e relegate ad argomento di esclusiva competenza della funzione IT. Il risultato è rappresentato dall’elaborazione di piani isolati, tecnologi che non costituiscono espressione di una governance pianificata, trasversale a tutte le funzioni, che rimangono quindi mere destinatarie del piano, con una conseguente scarsa probabilità di effettiva attuazione. Una strategia di change management, coerente e di largo respiro, richiederebbe invece un coinvolgimento delle diverse funzioni dell’organizzazione, chiamate a diventare vere protagoniste dei processi di cambiamento. In concreto, occorrerebbe istituire, all’interno di ogni PA centrale e locale, una rete-team permanente di innovatori, con un ruolo, per la direzione IT, sia di pivot catalizzatore della domanda di innovazione che di ponte, facilitatore del complessivo processo di trasformazione organizzativa e tecnologica. Le modalità di interazione potranno poi variare a seconda delle specificità dell’ente, prevedendo comunque il coinvolgimento dei referenti delle diverse strutture di business nello sviluppo dei progetti strategici in materia di ICT, unitamente alla presenza e collaborazione stabile dei responsabili-referenti già individuati dal legislatore in materie strettamente connesse alla trasformazione digitale. Vale a dire coinvolgere stabilmente, oltre alla direzione e referenti ICT, anche i referenti-responsabili già individuati dal legislatore per materie-aree che nel tempo si sono rivelate tra loro collegate, trasversali e comunque coinvolte dalla trasformazione digitale in relazione al patrimonio di documenti e dati trattati: Protezione dei dati personali, Sicurezza, Pianificazione e controllo di gestione, Performance, Trasparenza e anticorruzione, dell’accesso, Gestione e conservazione documentale, Comunicazione.

Raccomandazione 2.2b - Ripensare il ruolo della direzione IT nelle PA, abbandonando il modello dei silos verticali a favore di strutture per l’innovazione multidisciplinari e trasversali alle diverse funzioni

Nuovi modelli di interazione necessitano di trasformazioni strutturali delle attuali direzioni IT. In un modello di innovazione a rete, il cambiamento non può essere guidato da un soggetto confinato in una direzione a sé stante, parallela alle altre nell’ottica dell’organizzazione per silos verticali. Occorre valorizzare l’esperienza di alcuni enti pionieri, che hanno aggregato la funzione organizzazione con quella IT o improntato la loro strategia di change management sulla sinergia tra sistemi informativi, organizzazione, risorse umane e comunicazione. Una possibile linea evolutiva delle direzioni IT della PA, almeno di quelle più grandi, potrebbe essere rappresentata dall’esperienza del Team Digitale. L’idea sarebbe quella di proiettare il modello di una unit per la trasformazione digitale dal livello centrale a livello di singolo ente, trasformando la tradizionale direzione per i sistemi informativi in un vero e proprio team per l’innovazione, composto in parte dalle stesse persone della precedente struttura, ma connotato da un’elevata trasversalità e da un mandato completamente differente: guidare la trasformazione dell’organizzazione applicando la digitalizzazione.

Per gli enti più piccoli, i team per l’innovazione potrebbero essere creati e gestiti in forma associata, aggregando le strutture per dominio tematico o comparto territoriale, e mettendo in comune risorse, persone e competenze.

Raccomandazione 2.2c - Ripensare il ruolo del CIO negli enti pubblici, valorizzandone il carattere strategico nel complessivo percorso di ammodernamento della PA

L’evoluzione della direzione IT porta con sé l’evoluzione del suo vertice, il CIO, chiamato a combinare le necessarie competenze tecnico-informatiche con una profonda conoscenza delle attività core dell’ente, un’elevata capacità di gestione delle relazioni con i clienti interni (demand) ed adeguate competenze gestionali e manageriali. Tale evoluzione è stata in qualche modo riconosciuta anche in ambito pubblico, attraverso l’introduzione della figura del responsabile della transizione al digitale, disciplinata dalla nuova versione dell’art. 17 del CAD. La relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della PA ha evidenziato il grave ritardo delle PA nel rispetto di tale adempimento. Nella prossima legislatura sarà fondamentale monitorare e promuovere l’attuazione alla previsione dell’art 17 del CAD, almeno nelle amministrazioni più grandi. Nelle amministrazioni più piccole, dove questo modello pare inapplicabile a causa della carenza di competenze e risorse, bisognerà invece promuovere la forma associata per lo svolgimento delle funzioni del responsabile per la transizione al digitale, come previsto dallo stesso art. 17 del CAD.

Raccomandazione 2.2d - Promuovere la consapevolezza dei benefici legati alla transizione al digitale

Il successo dei processi di trasformazione della PA necessita dell’engagement dei dipendenti pubblici. Un aspetto ancora molto complesso, a causa di diffidenze culturali, di un timore diffuso verso il cambiamento e da una forma mentis ormai radicata orientata a procedure e adempimenti formali. Per rompere questo circolo vizioso è necessario innanzitutto infondere fiducia, attraverso meccanismi di condivisione interna in cui il dipendente si senta attore del processo decisionale, non solo un muto destinatario di decisioni altrui, siano esse assunte dalla direzione IT o dal proprio diretto responsabile. Occorre poi promuovere la consapevolezza dei benefici legati all’avvento della modalità operativa digitale, aumentando in questo modo il grado di partecipazione e coinvolgimento dei dipendenti nei processi di cambiamento e facilitando così il lavoro dei responsabili di tali processi. In questo senso, lo smart working può rappresentare un volano fondamentale per aumentare la percezione dei vantaggi legati al digitale.


Smart working

Lo smart working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. La legge 81/2017 fornisce una definizione puntuale del Lavoro Agile disciplinandone gli aspetti legati all’adozione all’interno delle organizzazioni. È un cambiamento che necessita l’adozione di un approccio strutturato e graduale che consenta di sperimentare, misurare e personalizzare il modello sulle specificità delle diverse realtà organizzative, accompagnando il cambiamento culturale a tutti i livelli. Lo smart working rappresenta, dunque, un nuovo approccio manageriale, nel modo di lavorare e collaborare all’interno di una organizzazione, basato su flessibilità organizzativa, autonomia e responsabilizzazione.

L’art. 14 della legge Madia introduce la possibilità per le pubbliche amministrazioni di sperimentare nuove modalità spazio-temporali di svolgimento del lavoro. Allo stesso modo, la Direttiva 3/2017 sullo smart working fornisce le Linee Guida di attuazione della legge Madia, fissando modalità e criteri di utilizzo dell’istituto, e ponendo l’obiettivo di consentire ad almeno il 10% dei dipendenti pubblici, ove lo richiedano, di avvalersi delle nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa.

Dal punto di vista normativo, la legge sul Lavoro Agile rappresenta un framework moderno e in alcuni casi più avanzato di quelli presenti anche in altri Paesi europei e costituisce un passo avanti nella diffusione dello smart working in Italia. Contestualmente, si registra ancora la mancanza di una trasposizione concreta nella struttura organizzativa amministrativa.

Raccomandazione 2.2e - Limitare le conseguenze negative che la burocrazia difensiva può avere sullo smart working

È opportuno salvaguardare senza appesantire l’attuale quadro normativo esistente, proteggendo la discrezionalità degli Enti pubblici nel declinare la flessibilità organizzativa sulle caratteristiche delle proprie attività lavorative e assicura un’ampia applicabilità. È importante favorire un processo in atto che risulterebbe fortemente rallentato in caso di introduzione di adempimenti o vincoli burocratici che ne limiterebbero l’adozione. L’aspetto critico che rallenta l’implementazione di questo strumento è il contesto culturale della pubblica amministrazione italiana, che si presenta come impreparata ad adottare un approccio strutturato e graduale che consenta di sperimentare, misurare e personalizzare il modello sulle specificità delle diverse realtà organizzative.

Raccomandazione 2.2f - Innescare un processo culturale di accettazione dello smart working

L’introduzione dell’istituto, che non si configura come telelavoro o forma di conciliazione, risulta prioritario per i seguenti motivi:
  1. valorizzare il potenziale della riforma della PA in termini di meritocrazia e valutazione degli obiettivi e migliorare la qualità del management;
  2. accelerare il processo di trasformazione digitale, introducendo strumenti, metodologie, approcci che consentono di preparare un futuro digitale;
  3. innescare pratiche di engagement dei lavoratori della PA, dando un credito di fiducia che li porti a una maggiore voglia innovare con un orientamento al servizio e restituzione al cittadino;
  4. possibile risparmio dei costi sul personale impiegato;
  5. aumento della produttività, in termini di motivazione ed energie.

Raccomandazione 2.2g - Favorire e promuovere occasioni di confronto e conoscenza dei vantaggi dello smart working

Per agire sul cambiamento culturale sarebbe utile e necessario favorire la diffusione delle buone pratiche presenti nelle amministrazioni e della conoscenza della materia, incrementando le occasioni di incontro e scambio. Si potrebbe pensare all’istituzionalizzazione della settimana del Lavoro Agile su tutto il territorio nazionale o degli «SmartWorking days», come giornate pre-autorizzate in cui lavoratori e gestori possano sperimentare i benefici del lavoro agile. Al fine di diffondere l’adozione della pratica, si potrebbe inoltre definire una “anagrafe di progetti di SmartWorking della PA” accentrata a livello di Ministero della Funzione Pubblica o di Presidenza del Consiglio dei Ministri per censire le prassi adottate e favorirne il riuso tra le amministrazioni.

Raccomandazione 2.2h - Accelerare il processo di aggiornamento delle competenze in ambito IT per rendere adottabile la pratica da parte di una vasta platea di dipendenti

Lo smart working è strettamente collegato all’utilizzo di tecnologie. L’età media dei dipendenti pubblici è molto alta e le competenze in ambito digitali spesso non sono adeguate a sostenere e supportare i processi di cambiamento in atto. Puntare su attività di formazione e strumenti di aggiornamento snelli permetterebbe di abbattere le resistenze all’utilizzo della pratica legate alla scarsa conoscenza degli strumenti IT.

Raccomandazione 2.2i - Aumentare gli investimenti in innovazione tecnologica per favorire gli investimenti in innovazione organizzativa ed istituzionale

Quando si parla di smart working è necessario fare i conti con il gap di innovazione e con il ritardo nel processo di digitalizzazione che il nostro paese ancora vive. Senza investimenti in innovazione tecnologica è difficile realizzare innovazione organizzativa e istituzionale.

Raccomandazione 2.2l - Dare spazio alle sperimentazioni

Dopo più di un anno dalla legge sul lavoro agile nella PA, lo smart working è ora partito. È importante in questa fase dare spazio alle sperimentazioni di innovazione organizzativa, senza aggiungere altre norme che potrebbero sminuire o snaturare il percorso. Solo così, lavorando e sperimentando, lo smart working svelerà il potenziale di grande occasione in grado di avviare il cambiamento culturale che stiamo cercando.

Raccomandazione 2.2m - Partire dalla Dirigenza per favorire un’applicazione pratica efficace e consapevole

Lo smart working agisce sulle persone, su tutte le persone dell’organizzazione, dal funzionario al dirigente. È importante formare adeguatamente i Dirigenti affinché diventino parte integrante del processo e dei cambiamenti che porta con sé in termini di pianificazione e valutazione dei risultati, coordinamento dei gruppi di lavoro, flussi e dinamiche attivate. Solo così si potrà puntare su una vera valorizzazione delle competenze e sul riorientamento della mission del lavoro pubblico - dall’adempimento al servizio – che lo smart working è in grado di abilitare.


Empowerment e competenze digitali

Le criticità che si configurano all’interno delle PA per il raggiungimento del progresso auspicato in termini di competenze digitali sono sostanzialmente tre:

  1. Il fattore umano, inteso come mancanza di cultura del digitale, e conseguente lacuna di professionalità;
  2. Carenza di competenze specifiche di settore;
  3. Incapacità di mettere a sistema le buone pratiche esistenti.

Per il superamento del gap, una possibile soluzione è da ritrovarsi negli strumenti trasversali di ascolto, coinvolgimento e partecipazione dei cittadini, collaborazione tra le amministrazioni, programmazione e gestione strategica, partendo da quattro priorità di intervento:

  1. Ristrutturazione della macchina amministrativa, intesa come reingegnerizzazione dei processi attraverso le nuove tecnologie rendendoli trasversali;
  2. Sviluppo delle competenze digitali all’interno della pubblica amministrazione;
  3. Collaborazione amministrativa come prassi di lavoro;
  4. Identificazione di e-leader, dirigenti-manager in grado di accompagnare i propri collaboratori nella transizione digitale.

Raccomandazione 2.2n - Creare un coordinamento tra i soggetti chiamati alla realizzazione della strategia nazionale

Nel capitolo sulla Gestione del cambiamento del Piano Triennale è stata ribadita la necessità di coordinamento tra soggetti diversi nel ruolo, nella funzione e nell’organizzazione. A fare da raccordo tra questi l’Agenzia per l’Italia digitale, che ha il compito di guidare le attività relative all’evoluzione strategica del sistema informativo della pubblica amministrazione.
AgID, infatti, promuove la diffusione delle competenze digitali per imprese, cittadini e pubblica amministrazione, e supporta la crescita delle competenze digitali nei diversi ambiti, con iniziative specifiche che coinvolgono:
  1. le competenze digitali di base (utenti e funzionari amministrativi)
  2. le competenze specialistiche (professionisti ICT)
  3. le competenze di e-leadership (dirigenza)
    Relativamente al tema delle competenze di base nella PA, AgID ha avviato a fine 2017 la sperimentazione di auto-valutazione (self-assessment) per ottenere una fotografia delle abilità interne, conoscenze e competenze rispetto al modello DigCOMP 2.1 per gli utenti amministrativi (il modello è stato recentemente tradotto in italiano nella sua versione aggiornata dal Team Digitale).

Raccomandazione 2.2o - Colmare le lacune esistenti tra l’assessment e il piano della formazione

Ciò che rimane oscuro è come si passi dal problema alla soluzione, per cui sarebbe prioritario definire una strategia univoca che traduca i risultati dell’assessment iniziale in un piano di formazione immediatamente implementabile.


2.3 Partecipazione e Trasparenza

L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, contenuto all’ultimo comma dell’Art. 118 Cost., che disciplina l’autonoma iniziativa dei cittadini, ha ricadute dirette in due settori di indagine:

  • Nei meccanismi di rilascio delle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni ai cittadini, e viceversa, ossia nella gestione delle informazioni rilasciate dai cittadini quotidianamente in qualità di utenti
  • Nelle nuove forme di attivismo civico esistenti a livello locale o centrale

Dal punto di vista della trasparenza e del rilascio dei dati in formato aperto, il quadro si mostra generalmente confuso. Dal punto di vista normativo, oggi sono disponibili tre modalità di accesso:

  1. Accesso documentale agli atti (legge sul procedimento amministrativo);
  2. Accesso civico (D.lgs. n. 33/2013);
  3. Accesso generalizzato previsto dal FOIA.

Talvolta questa tripartizione genera l’impasse nelle stesse pubbliche amministrazioni, responsabili della messa a disposizione dei dati. A questo si aggiunge la mancanza di una cultura della trasparenza al di là delle prescrizioni di legge, che favorisca l’emergere di nuove opportunità per conoscere se stesse in relazione ad altre.

Sul fronte dell’attivismo civico, fa fede il concetto di Onlife, una realtà che non distingue più tra essere online e offline. Siamo in un reale ibrido, dove il digitale è solo una parte del tangibile2.


Nuove forme di attivismo civico

Nell’ottica del superamento del rapporto bipolare tra istituzioni e cittadino, emerge l’esigenza di un cambio di paradigma nell’elaborazione delle policy pubbliche, che limiti la prepotenza burocratica che ha finora caratterizzato le scelte amministrative.

Il concetto di cittadinanza è mutato sia da un punto di vista strumentale (adesso non distinguiamo più tra cittadinanza analogica e cittadinanza digitale, entrambe pesano allo stesso modo), sia dal punto di vista dei contenuti che i cittadini producono in qualità di utenti (il cittadino come consumatore non agisce più solo come destinatario finale dell’informazione o del processo, ma diventa risorsa per la quantità di informazioni che produce in prima persona, e che condivide).

Raccomandazione 2.3a - Incentivare l’utilizzo di piattaforme civiche libere

Sarà opportuno favorire sempre di più la creazione e la manutenzione dei luoghi dello scambio di informazioni tra cittadini-utenti, formando i cittadini sui diversi strumenti a disposizione, che diano loro la percezione di come le decisioni sono state prese e per quali finalità. Le informazioni dovrebbero essere non solo disponibili, ma anche fruibili per favorire l’empowerment e l’engagement.

Raccomandazione 2.3b - Innescare un processo di datificazione delle città

Nella progettazione, ad esempio, di una smart city, i dati forniti dai cittadini come produttori è necessario che diventino beni comuni digitali (digital commons) utili attraverso:

  • Normazione a livello centrale dei processi di profilazione dell’utente.
  • Mappatura e analisi contestuale delle buone pratiche esistenti.
  • Standardizzazione di una cultura civica digitale condivisa.

Raccomandazione 2.3c - Coordinare a livello centrale le buone pratiche territoriali

Le nuove forme di attivismo civico sono nate in maniera spontanea, e hanno finora creato esternalità positive per la comunità intera, non incidendo su risorse pubbliche se non in piccola parte, e facendo trarre vantaggio anche alle pubbliche amministrazioni. Il prossimo passo, dovrebbe essere quello da parte delle istituzioni di recuperare la governance dei processi partecipativi, trainando dall’alto il cittadino, mentre quest’ultimo “preme” dal basso. La partecipazione ai processi decisionali e gestionali ha bisogno di essere incentivata e normata, non solo a livello regionale ma coinvolgendo i livelli centrali, per agevolarne la diffusione razionale, valorizzandone le funzioni di condivisione e legittimazione del consenso decisionale. Per ottenere questo è necessario includere la partecipazione nei processi decisionali, in alcuni casi in forma necessaria e in altri in forma consultiva, fornire di adeguate risorse la gestione dei processi partecipativi. In questo senso, un coordinamento nazionale di quello che è già attivo sui territori diventa un elemento prioritario nella nuova agenda di governo, che possa fissare degli standard nazionali, limiti di spesa, garanzie di accesso e previsioni di finanziamento regionale, partendo da uno stato dell’arte sulla reale domanda di partecipazione, superando il livello delle linee guida alla consultazione, arrivando a un manuale della partecipazione e dei beni comuni materiali e immateriali (Participation Act). Un primo tentativo su questo punto è stato presentato lo scorso anno in Camera dei Deputati, come una proposta di legge dal titolo “Più democrazia, più sovranità al cittadino”, che ha proposto la modifica di alcuni articoli del TUEL.


Trasparenza

Sul tema della trasparenza, appare piuttosto critica la distanza esistente tra la concezione teorica della messa a disposizione dei dati,e quanto accade nella realtà locali e centrali. Se da un punto di vista normativo il quadro è saturo di indicazioni sulle finalità e obiettivi del rilascio in formato aperto dei dati (dalla legge sul Procedimento Amministrativo al FOIA), dal punto di vista pratico è ancora molto difficile individuare modalità coordinate di applicazione delle norme.

Raccomandazione 2.3d - Diffondere e monitorare l’effettiva applicazione del diritto di accesso civico

Risulta ormai necessario e prioritario dare effettivo seguito alle disposizioni previste dal D.Lgs 33/2013 e successive modifiche, nonché da quanto introdotto con il FOIA, il Freedom of Information Act italiano. In questo senso, sarà utile - e ormai imprescindibile - favorire la conoscenza e la lettura dei dati da parte dei cittadini, offrendo siti leggibili, percorsi semplificati di accesso alle informazioni, interpretazioni e letture dei dati, interpretazioni e letture chiare sulle modalità di accesso oggi disponibili: l’accesso agli atti (legge 241/90), l’accesso civico e infine l’accesso generalizzato previsto dal FOIA.

Raccomandazione 2.3e - Potenziare e valorizzare l’adesione italiana all’Open Government Partnership

Sulla spinta del FOIA, l’adesione italiana all’Open Government Partnership, iniziativa internazionale che punta a ottenere impegni concreti in termini di promozione della trasparenza e di sostegno alla partecipazione civica, ha visto un sempre maggiore coinvolgimento e investimento in questo percorso. Con il nuovo approccio, diverse amministrazioni e associazioni hanno partecipato ai tavoli, con un miglioramento del livello di confronto e partecipazione pur in presenza di alcuni limiti. Ad esempio, i tavoli talvolta non sembrano essere stati utilizzati per far incontrare domanda e offerta di dati, ma per lo più è stato chiesto alla società civile di confrontarsi con obiettivi già definitivi dalle amministrazioni e con decisioni già assunte. Il processo, in tutti i casi, sebbene sia da aggiornare, ha presentato già qualche buon risultato in termini di comunicazione e avvicinamento tra istituzioni e cittadini.


2.4 Comunicazione Pubblica

Negli ultimi anni l’accelerazione imposta dal digitale - social network, chat, siti web user-friendly – ha definito i tratti innovativi della nuova comunicazione pubblica.

Il rapporto tra cittadini e PA passa attraverso un rilancio dell’attività comunicativa e un nuovo design dei servizi pubblici. Le richieste dei cittadini impongono il superamento di una cornice normativa rimasta immutata, quella della legge 150/2000 con una “151” che tenga conto dei tanti cambiamenti arrivati in questi 18 anni e superi, pur riconoscendo le differenze, le divisioni tra professionalità che non hanno più senso nel lavoro quotidiano di oggi.

Negli ultimi anni molto è cambiato in positivo, oggi la maggioranza delle istituzioni (di vario tipo) nazionali e locali hanno siti web più semplici e con un’identità visiva più coerente, si trovano sui principali social network (facebook, twitter, instagram, linkedin, youtube etc.), in chat (whatsapp, messenger, telegram), con prime esperienze di intelligenza artificiale.

Sul lato della quantità e della presenza delle PA sulle nuove piattaforme di comunicazione sono stati fatti molti passi avanti e oggi l’Italia è la prima a livello internazionale ad avere una rete nazionale della nuova comunicazione, fatta di tanti professionisti e di buone pratiche modello anche per altri Paesi. Il lavoro di oggi e anche per il futuro è sulla qualità: come offrire servizi e informazioni, come dialogare e interagire con i cittadini, quali social media policy, quali linguaggi, come riconoscere e dare spazio alle nuove professionalità, come organizzare al meglio la comunicazione pubblica, quale modello organizzativo. La rivoluzione in corso ha bisogno del contributo e della professionalità di tutti i principali attori: giornalisti, comunicatori, nuove professioni (social media manager, strategist, community organizer, data journalism, visual design etc.), università.

Passando per un riconoscimento formale di molte di queste professioni, è importante che il Ministro per la Pubblica Amministrazione sostenga il processo verso la definizione di un nuovo Ufficio unitario che comprenda: informazione, tradizionale e social; trasparenza totale e rapporti con il cittadino; gestione eventi; consultazioni pubbliche e citizen satisfaction; comunicazione interna.

In conformità ai principi della normativa “FOIA” (D. Lgs. 97/2016), che conferma molte delle norme del D Lgs. 33/2013, è suggeribile l’uso sistematico e professionale dei social media con conoscenza specifica di meccanismi e linguaggi, nonché sempre previa predisposizione di policy e procedure. In tal modo, i professionisti possono proficuamente contribuire al dibattito pubblico, necessario presupposto dell’esercizio dei diritti di cittadinanza. Assicurare l’accesso a internet per i pubblici dipendenti e utilizzare i social network per la trasparenza sono indicazioni entrate anche a far parte di documenti strategici quali il 3° Piano d’azione Open Government In Italia (2016 – 2018) e il Piano triennale per l’Informatizzazione delle PA.

Il lavoro sulla qualità dei servizi e delle informazioni e sulla qualità del rapporto con il cittadino porta con sé l’ipotesi di un lavoro specifico sui linguaggi della rete e dei social, proprio sulla scia di quanto fatto dall’ AgID con Linee guida per il design dei servizi digitali della Pubblica Amministrazione.

Diverse sono le iniziative recenti, come quella della Federazione nazionale della Stampa italiana e dell’Ordine dei Giornalisti che hanno rilanciato le attività e le professionalità comunicative nei quattro contratti del pubblico impiego, firmati tra dicembre e febbraio scorsi: funzioni centrali, funzioni locali, sanità e istruzione e ricerca. Sono stati inseriti in appositi articoli i nuovi profili della comunicazione e dell’informazione. È stata introdotta per la prima volta la dimensione professionale del giornalismo pubblico che dovrà, naturalmente, diventare unificante delle funzioni comunicative all’interno di un ufficio unico.

Essenziale, in tale quadro, la presenza al tavolo Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) della FNSI (Federazione nazionale della Stampa italiana) che, sia pure con 18 anni di ritardo, è chiamata, secondo la recente Dichiarazione congiunta, sia a ridefinire i profili comunicativi (che nei CCNL del pubblico impiego recentemente firmati sono esposti in modo piuttosto confuso) che a stabilire le forme di adesione dei Giornalisti pubblici agli istituti previdenziali e assistenziali della professione giornalistica. Un’indicazione già contenuta nella legge 150/2000 e che trova ora attuazione.

Costituisce un ottimo supporto per tutti i professionisti della comunicazione, che lavorano all’interno della pubblica amministrazione, anche il progetto Designer Italia del Team per la trasformazione digitale. Si tratta di un kit di strumenti disponibili, contenente web analytics, test usabilità, web toolkit.

Raccomandazione 2.4a - Promuovere un modello organizzativo unico

I cambiamenti in atto impongono il superamento delle vecchie divisioni, la proposta di un modello organizzativo unico e diffuso, nel quale far confluire sia le funzioni tradizionali sia le nuove (come consultazioni pubbliche, trasparenza, valutazione, customer satisfaction), il riconoscimento di un profilo unitario, quello del giornalismo pubblico che ricomprenda tutte le figure tradizionali quanto le nuove (addetto stampa, social media manager, social media strategist e community organizer). Occorrono anche approcci nuovi per la comunicazione interna, nuovi modelli di lavoro agile, nuove competenze.

Raccomandazione 2.4b - Inserire la comunicazione nel sistema pianificatorio delle PA

La comunicazione deve acquisire dignità nel sistema pianificatorio degli enti pubblici e occupare un ruolo nel processo e negli obiettivi generali di performance, secondo criteri di valutazione basati su reali indicatori di qualità. La comunicazione pubblica riveste un ruolo fondamentale nel promuovere e diffondere l’utilizzo dei servizi pubblici digitali da parte di cittadini e imprese, incentivare l’uso esclusivo del canale digitale (dove presente e funzionante) per fruire di servizi pubblici e riabilitare la reputazione della PA, spesso percepita come una forza inerziale indispensabile ma incapace di generare innovazioni digitali. Per questo è necessario valorizzare il suo ruolo chiave tra le strategie di digitalizzazione del paese, definendo uno specifico piano di comunicazione, strutturato e incisivo.

Raccomandazione 2.4c - Promuovere un aggiornamento delle competenze dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

L’Autorità, nel quadro dei suoi compiti di regolazione, ha esplicite competenze nell’ambito del mainstream, nella comunicazione tradizionale e nella comunicazione 1.0, in cui sono evidenti le identità e le responsabilità editoriali dei soggetti e delle imprese; ha pochissimi poteri, se non quelli di moral suasion, nei confronti degli over the top (si pensi alla non attendibilità e affidabilità di alcune notizie, all’hate speech e alle fake news).

Raccomandazione 2.4d- Adottare una nuova legge sulla comunicazione

Manca invece un forte supporto (politico e normativo) che ne legittimi la funzione strategica e di coordinamento e che, al tempo stesso, riveda le convenzioni sull’essere lavoratori / comunicatori istituzionali nell’era del civic hacking.


2.5 Gestione documentale

Oggi sono ancora poche le pubbliche amministrazioni che hanno definito piani concreti finalizzati a rendere operativa una sistematica trasformazione digitale delle loro attività e della produzione documentaria che ne deriva. Non si è ancora consapevoli del difficile livello di sostenibilità economica di alcune soluzioni e della immaturità delle piattaforme e delle infrastrutture digitali disponibili. A livello normativo, nell’ultimo anno, si segnalano alcune particolari iniziative:

  • il Piano Triennale che ha, per alcuni ambiti, affrontato in modo nuovo temi che sembravano definiti e consolidati;
  • Ia circolare 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la PA per l’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (FOIA): le Linee Guida che offrono un supporto concreto agli enti, sciogliendo dubbi interpretativi e proponendo (all’Allegato 3. Modalità di realizzazione del registro degli accessi) soluzioni tecniche basate sul riuso delle infrastrutture di protocollo esistenti, individuando scenari di varia complessità, ma tutti caratterizzati dal principio dell’integrazione e dell’interoperabilità;
  • l’articolo 40-ter del CAD “Sistema di ricerca documentale”, finalizzato a sperimentare un sistema “volto a facilitare la ricerca dei documenti soggetti a registrazione di protocollo” e “dei fascicoli dei procedimenti”.

Conservazione

La conservazione digitale è stata in questi anni al centro di molte iniziative regolamentari, che hanno determinato la nascita di decine di operatori di mercato accreditati, a fronte di un numero molto esiguo di proposte provenienti dal settore pubblico. Il Piano Triennale ha ipotizzato l’individuazione di poli strategici di conservazione; non è chiara la loro funzione rispetto a quella già svolta dagli operatori accreditati. Il modello di riferimento finora realizzato ha bisogno di ulteriore elaborazione che tenga conto della reale e concreta dimensione del problema, in termini sia quantitativi sia qualitativi. Il rischio da evitare è che l’enorme quantità di informazioni, dati e documenti prodotti finiscano per costituire solo un peso per la comunità nazionale, che – in assenza di un quadro chiaro e coordinato di responsabilità per la vigilanza e di regole per la gestione degli archivi ibridi e per la selezione e scarto – si ritroverà molto presto con grandi quantità di risorse digitali irrilevanti conservate, avendo contemporaneamente perso il controllo sulla gestione conservativa dei propri archivi e delle memorie degne di essere trasmesse alle generazioni future.

Raccomandazione 2.5a - Definire con maggior chiarezza i modelli organizzativi dell’archiviazione

In particolare va definito il modello organizzativo che riguarda l’archiviazione e la conservazione a norma, su cui il Piano Triennale è intervenuto riconoscendo il ruolo dell’Archivio centrale dello Stato, ma lasciando parzialmente irrisolto il sistema delle responsabilità istituzionali in tema di vigilanza e la complessità di gestione degli archivi ibridi.


Soluzioni per la gestione documentale

La questione delle piattaforme è un problema di qualità in relazione sia a quelle esistenti, sia alla normativa in materia di riuso del software. Le soluzioni informatiche per la gestione informatica dei documenti e, soprattutto, per la conservazione digitale devono garantire livelli di qualità che permettano la formazione e la tenuta a medio e a lungo termine dei nostri patrimoni di memoria documentaria richiedono.

Raccomandazione 2.5b - Migliorare gli strumenti di controllo della qualità delle piattaforme, attraverso la definizione di requisiti funzionali

Gli strumenti di controllo devono individuare, in maniera ragionata, requisiti funzionali anche in riferimento alla concreta gestione di soluzioni di riuso. Servono check-list per definire i requisiti obbligatori e misurarne il rispetto nei prodotti di mercato.


Attività di coordinamento e collaborazione

Una chiara distinzione tra indirizzi politici e operatività tecnica di alto livello è, per tutti gli interlocutori, il nodo principale da sciogliere il più rapidamente possibile.

Raccomandazione 2.5c - Definire in modo chiaro a chi spetta il ruolo di coordinamento e monitoraggio delle esperienze

Va limitata la moltiplicazione di istituzioni con compiti di natura strategica e va affidata alle strutture esistenti (Agid e DGA) ruoli di coordinamento sia nella individuazione di modelli e standard tecnici di settore, sia nel monitoraggio e nella condivisione delle esperienze.

Raccomandazione 2.5d - Meno norme, più collaborazione per completare il quadro regolamentare

Limitare gli interventi normativi e gestire con un approccio basato sulla cooperazione inter-istituzionale e aperto agli stakeholder i passaggi necessari a completare il quadro regolamentare, inclusa la stesura delle Linee Guida previste dal D. Lgs. 217/2017 che ha modificato il CAD. Servono strumenti e contesti di cooperazione istituzionale che favoriscano la collaborazione e il confronto.

I ritardi nel raggiungimento di obiettivi strategici sono riconducibili anche alla mancanza di personale tecnico da dedicare alla trasformazione digitale nelle diverse componenti, su cui il legislatore è peraltro intervenuto da tempo e a più riprese. Si pensi all’obbligo di affidare la funzione di gestione documentale a personale dotato di adeguate competenze archivistiche stabilito dall’articolo 61 del dpr 445/2000 e richiamato dalle regole tecniche sul protocollo informatico approvate con dpcm 3 dicembre 2013. In quante amministrazioni tale indicazione non è stata applicata? Anche le indicazioni di AgID sulla necessità di disporre di responsabili archivistici della conservazione presso i conservatori accreditati, hanno riscontrato difficoltà nell’applicazione.

Raccomandazione 2.5e - Riconoscere il ruolo cruciale delle competenze tecniche

Le competenze digitali archivistiche e organizzative sono necessarie. Va promossa la presenza di adeguati profili professionali sia nel settore pubblico, che nelle imprese che operano in questo ambito.


2.6 Procurement pubblico

Circa il 14% del PIL dell’Unione Europea passa per il procurement pubblico (cfr. Commissione Europea del 3.10.2017 (COM)2017 572 final “Appalti pubblici efficaci in Europa e per l'Europa”). In Italia i valori sembrerebbero essere leggermente più contenuti, entro il 10% del PIL. Si tratta, evidentemente, di un settore in grado di incidere in modo estremamente significativo sull’economia del nostro Paese. Nel 2016 è entrata in vigore una riforma profonda della materia degli appalti pubblici, in parte sulla scia dell’evoluzione normativa determinata dalle Direttive europee del 2014 (23, 24 e 25), in parte rispondente ad esigenze e strategie di carattere nazionale. Il nuovo approccio promosso dal D.Lgs. 50/2016 dovrebbe costituire la regolamentazione fondamentale della materia, su provvedimenti attuativi in senso proprio e su una regolamentazione flessibile di supporto alle stazioni appaltanti, che in parte specifichi meglio i precetti normativi, in parte funga da strumento per la diffusione delle buone pratiche.


Qualificazione stazioni appaltanti

Uno dei pilastri del Nuovo Codice, forse il più importante, è costituito dalla qualificazione delle stazioni appaltanti, dalla loro professionalizzazione e concentrazione. Fino a quando questo aspetto della riforma non sarà attuato non vi potrà essere un reale cambiamento del sistema.

Raccomandazione 2.6a - Adottare al più presto gli atti attuativi del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti

La qualificazione delle stazioni appaltanti avrebbe dovuto rappresentare la vera chiave di volta del sistema, ma che è ancora di là da venire e, comunque, difficilmente potrà essere efficacemente realizzata, in carenza di adeguati investimenti, che non sembrano essere stati previsti.

Raccomandazione 2.6b - Definire protocolli e processi standard

Sarebbe consigliabile che l’ANAC proponesse il disegno e la descrizione di un processo standard, che definisca attori - interni ed esterni -, procedure generali, responsabilità - la c.d. RACI -, ecc., integrato con riferimenti ai singoli precetti normativi e/o alle linee guida. Ciascuna stazione appaltante potrà ritagliare e adeguare il processo in base alla propria realtà in termini di dimensione, volumi e tipologie di acquisti effettuati.

Raccomandazione 2.6c - Promuovere l’assunzione di figure multidisciplinari negli uffici gare delle stazioni appaltanti

Come ci dimostrano alcune buone pratiche, la presenza di figure esperte di project management consentirebbe di svolgere le attività di procurement delle forniture in modo: efficiente (p.e. tempi ragionevolmente contenuti per giungere all’affidamento del contratto, magari senza proroghe); efficace (p.e. scelta del fornitore più adeguato in termini di qualità/prezzo); trasparente (p.e. chiarezza verso gli stakeholder delle decisioni prese). Così hanno fatto gli USA con il “Program Management Improvement and Accountability Act” (PMIAA), che nel 2016 ha introdotto nel codice federale due importanti innovazioni: l’attribuzione di specifiche competenze in materia di program/project management al “Deputy Director per il management” dell’Office of Management and Budget (OMB) e l’istituzione di figure di program manager nella stessa organizzazione, oltre che l’istituzione di un Policy Council di program management. Meglio ancora in UK, dove una delle più diffuse metodologie di project (e portfolio/program) management contenente analoghi principi sia stata sviluppata dalla stessa PA britannica e sin dall’inizio imposta ai propri fornitori, oltre che a se stessa.


Valutazione offerta

Lo spostamento netto dell’ago della bilancia verso la valorizzazione degli aspetti tecnici e qualitativi delle offerte, piuttosto che verso la depressione sistematica dei corrispettivi riconosciuti agli offerenti, ha rappresentato forse una delle maggiori conquiste del Nuovo Codice.

Raccomandazione 2.6d - Favorire gli strumenti di valutazione e misurazione della qualità che diano garanzia di oggettività e attendibilità

Occorre incoraggiare (e anche formare) le stazioni appaltanti nell’individuare criteri di valutazione delle offerte che realmente privilegino aspetti qualitativamente rilevanti ed effettivamente necessari, in modo che l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità prezzo non resti un mero esercizio di stile. Altrettanto importante sarebbe garantire un effettivo monitoraggio del rispetto degli indicatori e degli accordi contrattuali in corso d’opera in modo da evitare che quanto promesso in fase di gara non venga effettivamente realizzato.

Raccomandazione 2.6e - Garantire maggiore trasparenza nel processo di valutazione

Tale processo dovrebbe essere pubblico in tutti i suoi aspetti, al limite anonimizzando i dati riservati, per permettere la valutazione della correttezza di tale processo. Sarebbe anche utile avere dei sistemi di supporto alle decisioni che si stanno sempre più affinando con le tecniche di intelligenza artificiale.


Analisi della spesa

Si è fatta forte l’esigenza di un monitoraggio costante dell’andamento della spesa, a causa di una disponibilità spesso esigua, soprattutto negli enti locali, di risorse. Una moderna analisi della spesa può, quindi, permettere di ridurre i costi e ottimizzare gli acquisti.

Raccomandazione 2.6f - Riqualificare la spesa pubblica con l’adozione di soluzioni innovative che ne permettano il monitoraggio

Puntare sull’innovazione, ovvero su moderne soluzioni oggi disponibili sul mercato, come strumento di evoluzione del procurement pubblico e di riqualificazione della spesa pubblica, anche in ottica della riduzione nel medio-lungo termine degli sprechi.

Raccomandazione 2.6g -Introdurre attività di internal audit per lotta alla corruzione

L’introduzione di audit interni permetterebbe di: rivitalizzare i controlli di legalità nell’ambito di un’attività di prevenzione di impronta collaborativa e consulenziale, volta a fronteggiare i rischi di illegalità e cattivo uso di risorse; stimolare i dirigenti a prevenire violazioni e sprechi; dare l’allarme laddove si registrino i rischi maggiori, di cattiva gestione o fatti illeciti; A chi svolge questa attività va garantita l’autonomia necessaria a conservare neutralità. Le norme anticorruzione introdotte negli ultimi anni contengono elementi che vanno nella giusta direzione (analisi dei rischi e piani di prevenzione della corruzione), ma in modo generico e globalmente parziale. È inoltre illusorio confidare nell’efficacia della sanzione, o repressione penale, per contrastare efficacemente comportamenti illeciti nella pubblica amministrazione.


Nuove partnership pubblico-privato

La Corte dei Conti europea (cfr. Rel. N. 9/2018) ha espresso fortissime perplessità sull’utilizzo dello strumento dei partenariati pubblico-privati nell’Unione Europea, evidenziandone le criticità e denunciando una generalizzata carenza di preparazione delle pubbliche amministrazioni nella programmazione e nella gestione delle iniziative che compromette, sul piano operativo, il raggiungimento dei risultati che è ragionevole e lecito attendersi dall’utilizzo dei PPP.

Raccomandazione 2.6h - Favorire la condivisione delle esperienze e l’open innovation, anche promuovendo piattaforme tecnologiche che ne favoriscano la diffusione

Tra le criticità evidenziate dalla Corte dei Conti c’è anche la mancanza di strumenti di supporto alle amministrazioni che intendano intraprendere questa strada, ivi compresa la diffusione e condivisione di “buone pratiche”.

Raccomandazione 2.6i - Favorire l’utilizzo dei nuovi strumenti procedurali previsti dal Codice

Sarebbe opportuno utilizzare gli strumenti che già oggi consentirebbero a PA e imprese di collaborare per realizzare progetti di innovazione: partenariati per l’innovazione, pre-commercial procurement, dialoghi competitivi, ecc.


Dibattito Pubblico

Il DPCM del 9 maggio 2017 introduce in Italia, ai sensi dell’Art. 22 del D. Lgs. 50/2016, il dibattito pubblico per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio. Il Decreto individua, nel relativo Allegato, le tipologie e le soglie di intervento.

Raccomandazione 2.6l - Dato un primo coinvolgimento degli stakeholders del territorio al dibattito, aprire a un numero maggiore di cittadini nelle fasi successive del dibattito stesso

La normativa nazionale dovrebbe prevedere la possibilità di richiedere l’apertura a dibattito pubblico per almeno lo 0,50 per cento dei cittadini, degli stranieri o degli apolidi, che hanno compiuto sedici anni e regolarmente residenti nella Regione, anche su iniziativa di associazioni e comitati. Come, ad esempio, previsto all’art. 8, comma 1.b, della legge 69/2007 della Regione Toscana.

3. Trasformazione digitale della PA

3.1 Piano triennale e governance dell’innovazione

La passata legislatura ha coinciso con l’avvio dell’Agenda Digitale Italiana, ovvero l’insieme di azioni e norme per lo sviluppo delle tecnologie, dell’innovazione e dell’economia digitale in Italia, nel quadro della strategia Europa 2014-2020 per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva [1].

Nella cornice delle indicazioni fornite a livello di UE, nel 2015 l’Italia si è dotata di una propria strategia nazionale, la Strategia per la crescita digitale 2014-2020, sulla base della quale nel 2016 è stato poi definito un nuovo Modello strategico di evoluzione del sistema informativo della Pubblica amministrazione.

In conformità con quanto previsto dall’art.14 del CAD, nel 2017 AgID ha redatto il Piano triennale per l’informatica nella PA 2017-2019, documento di indirizzo strategico e pianificazione economica per l’attuazione del modello strategico e dei progetti abilitanti per la trasformazione digitale della PA.

La pubblicazione del Piano rappresenta senza ombra di dubbio uno degli elementi più significativi della passata legislatura, sia per gli elementi di innovatività introdotti, sia per la visione olistica che caratterizza l’impianto complessivo del documento, legando tra loro le diverse componenti. Infatti, negli anni passati il principale limite alla digitalizzazione della PA italiana è stato rappresentato dalla frammentazione di infrastrutture e servizi sviluppati dalle singole PA nel quadro della loro autonomia, e dal conseguente frazionamento della spesa per l’ICT.

Con il Piano si definisce per la prima volta un modello di riferimento coerente con indicazioni puntuali in termini di azioni, risorse e tempi di attuazione. Al Piano Triennale si affiancano poi il Piano Nazionale Scuola Digitale e il Piano per la Banda Ultra-Larga che, insieme, costituiscono i modelli architetturali di riferimento della strategia di digitalizzazione italiana. Tali piani hanno il grande pregio di definire modelli di intervento chiari per innovare la nostra PA, hanno trovato ampi consensi da parte degli addetti ai lavori e sono utili a incentivare gli investimenti dei privati nel settore pubblico. Inoltre, hanno già tutti una struttura di definizione “rolling”, con un continuo processo di aggiustamento degli obiettivi da perseguire che è vitale non fermare in questo momento. Delle buone strategie di digitalizzazione sono quindi già state definite negli scorsi anni, occorre adesso perseveranza nel portare a termine la loro implementazione.

In questo paragrafo vengono trattati alcuni punti relativi alla governance della trasformazione digitale della PA, mentre in quelli successivi vengono affrontate in maniera puntuale alcune possibili azioni relative alle principali componenti strategiche del Piano triennale.


Strutture di governance

L’innovazione della PA necessita sempre più di una chiara governance, che consenta di coordinare la transizione al digitale dei tanti Enti che erogano servizi pubblici, attraverso la razionalizzazione delle soluzioni e la condivisione delle competenze e delle risorse. In questo senso, è fondamentale organizzare una guida forte, capace di dare ascolto ai bisogni dei diversi territori e degli svariati stakeholder (pubblici e privati) che devono essere coinvolti nel processo di trasformazione digitale della PA.

Il ruolo dell’Agenzia per l’Italia Digitale

La normativa attribuisce ad AgID il coordinamento delle attività di progettazione e monitoraggio dell’evoluzione strategica del sistema informativo della Pubblica amministrazione. Ad AgiD sono attribuiti anche poteri di indirizzo, vigilanza e controllo sull’attuazione e sul rispetto delle norme del CAD[2], nonché di monitoraggio dell’attuazione dei progetti strategici previsti dal Piano triennale da parte delle amministrazioni.

Eppure, AgID trova ancora oggi difficoltà a garantire l’attuazione di regole e il rispetto delle scadenze da parte degli enti, a causa di strumenti piuttosto limitati e circoscritti alla semplice moral suasion. Moltissime disposizioni contenute nel CAD e nei relativi provvedimenti di attuazione risultano pertanto completamente disattese, o rispettate solo dal punto di vista formale. Una tendenza che comincia a ripresentarsi anche in riferimento ai provvedimenti attuativi del Piano triennale.

Raccomandazione 3.1a - Potenziare i poteri di vigilanza e controllo di AgID, introducendo meccanismi sanzionatori in caso di mancato rispetto della normativa sul digitale

Occorre rafforzare i poteri di vigilanza e controllo di AgID, attraverso il conferimento di un potere sanzionatorio contro gli enti inadempienti, tipico delle vere authority. Ovviamente, l’impianto sanzionatorio dovrebbe essere controbilanciato da possibili incentivi per le PA virtuose e da risorse e competenze necessarie a mettere anche gli enti più piccoli nelle condizioni di adeguarsi alla normativa di riferimento.


L’esperienza del Team digitale

Esiste una sostanziale convergenza degli addetti ai lavori nel ritenere come positiva l’esperienza del Team per la trasformazione digitale. In particolare, vengono messi in evidenza alcuni fattori di successo, riconducibili principalmente a composizione del Team e approccio adottato.

Per quanto attiene al primo aspetto, è innegabile che l’apertura a persone esterne alla PA, dotate di competenze innovative e per certi versi totalmente nuove nel panorama pubblico, ha consentito di produrre uno shock positivo su una macchina complessa che incontra ancora oggi molte difficoltà a rinnovarsi dall’interno. In merito al secondo punto, si segnalano invece gli elementi di profonda discontinuità introdotti dal Team, novità di metodo prima ancora che di merito, come dimostrano la costituzione e lo sviluppo di comunità di pratica e la virata decisa verso il paradigma dell’open source, a dimostrazione della grande importanza riconosciuta ai processi di innovazione “dal basso”, nonché le attività di consulenza e accompagnamento agli enti nel percorso di attuazione del Piano triennale.

Raccomandazione 3.1b - Valorizzare l’esperienza del Team Digitale, rinnovandolo o estendendo il modello ad altri enti pubblici

Il Governo dovrebbe valutare, in prima istanza, la possibilità di un rinnovare il Team Digitale, seppur in un quadro regolatorio più chiaro, in particolare per ciò che attiene i rapporti con AgID. In alternativa, il modello del Team potrebbe essere ampliato ed esteso ad altre strutture pubbliche, come Ministeri e altri Enti di particolare rilevanza strategica, creando le condizioni necessarie a replicarne i fattori di successo e abilitando così una rete di team per l’innovazione al servizio del sistema Paese.


Rapporto centro-territorio

L’attuazione delle varie linee d’azione previste dal Piano triennale passa necessariamente da un migliore coordinamento tra livello centrale ed enti del territorio. In questo senso, Regioni ed enti di area vasta svolgono un ruolo fondamentale nell’assorbire la tensione tra il pressing di norme e framework definiti a livello nazionale e le istanze meno organizzate del territorio, supportando gli enti del proprio territorio a dare seguito ai programmi definiti all’interno del Piano e a convergere su standard tecnologici e politiche d’innovazione comuni.

Raccomandazione 3.1c - Promuovere un maggiore raccordo tra centro e periferia, valorizzando il ruolo di intermediazione svolto da Regioni ed enti di Area vasta a supporto dei soggetti del territorio

Occorre proseguire sulla strada tracciata nel febbraio 2018 con l’approvazione dell’Accordo Quadro tra AgID e regioni per la crescita e la cittadinanza digitale verso gli obiettivi EU2020, accelerando la stipula di accordi o convenzioni territoriali con le singole regioni per abilitare il loro ruolo di coordinamento a livello territoriale e favorire la trasformazione digitale dei servizi pubblici per i cittadini e imprese. Il medesimo approccio potrebbe poi essere esteso a Città metropolitane e comuni capoluogo, che possono rappresentare un punto di riferimento per gli enti del proprio territorio.


Digitale e normativa

L’esigenza di adeguare la normativa di riferimento alle priorità dell’Agenda Digitale e al mutato contesto tecnologico ha portato a ben due interventi di revisione del CAD, emanati in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge delega di riforma della pubblica amministrazione (c.d. riforma Madia):

  • il D.Lgs. 179/2016 che ha, tra le altre cose, introdotto alcuni aspetti migliorativi rispetto alla precedente versione del testo, in particolare riguardo a partecipazione, estensione dei diritti, implementazione delle soluzioni [3];
  • il D.Lgs. 217/2017, finalizzato ad adeguare le disposizioni del CAD al nuovo modello di sviluppo delineato dal Piano triennale, e che ha, tra le altre cose, rafforzato i diritti di cittadinanza digitale attraverso l’individuazione di nuovi strumenti e il potenziamento di quelli già esistenti (in particolare SPID e domicilio digitale).

Si tratta, rispettivamente, della quinta e sesta revisione del Codice in 13 anni dalla sua pubblicazione. Interventi che vanno a sommarsi alla pletora di norme primarie e secondarie che ha invaso le PA di adempimenti, producendo una stratificazione ricca di retaggi tecnologici che costituiscono ancora oggi un freno al processo di digitalizzazione.

Raccomandazione 3.1d - Adottare un nuovo approccio alla regolamentazione del digitale, limitando il più possibile gli interventi di carattere legislativo a vantaggio di regolamenti e linee guida

Il livello legislativo contiene già tutto il necessario, e forse anche di più. Nella prossima legislatura sarà necessario ridurre al minimo l’invasività degli interventi normativi in tema di trasformazione digitale, evitando il rischio di ingessare l’innovazione. Eventuali leggi dovranno definire pochi principi generali e di ampio respiro, semplici ed efficienti, in modo da essere applicate a prescindere alle infrastrutture tecnologiche utilizzate. La definizione delle soluzioni dovrà essere rimessa a regolamenti e linee guida, consentendo così un aggiornamento costante rispetto alla continua evoluzione tecnologica. Regolamenti e linee guida dovranno individuare istruzioni chiare per facilitare il più possibile il lavoro degli uffici delle PA. Sarà inoltre importante lasciare sempre più spazio al recepimento diretto di norme e standard Europei, in modo da non aggiungere vincoli e appesantimenti validi solo in Italia, e da promuovere servizi sempre più transeuropei.


3.2 Servizi e piattaforme per la cittadinanza digitale

Secondo i dati del DESI 2018, l’Italia continua a far registrare prestazioni altalenanti in tema di eGovernment, posizionandosi al 19° posto in classifica nella dimensione servizi pubblici digitali, seppur con un incremento di oltre 5 punti percentuali (da 47% a 52,5%), dovuto principalmente all’introduzione dell’indicatore relativo alla sanità digitale.

L’Italia conferma i risultati discreti per livello di disponibilità di servizi online della PA, con risultati superiori (livello di completezza dei servizi online) o poco inferiori (servizi pubblici digitali per le aziende) alla media UE, ma si attesta all’ultimo posto tra i Paesi UE per numero di utenti dei servizi di eGovernment [4]. Positivi invece i dati su quantità e utilizzo degli Open Data (cfr. Par. 3.6) e sui sopracitati servizi di sanità digitale, indicatore introdotto per la prima volta nel DESI 2018, rispetto al quale l’Italia ottiene un risultato superiore alla media UE (il 24% delle persone hanno utilizzato servizi sanitari da remoto contro il 18% della media UE).

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Design dei servizi online

L’edizione 2018 del DESI attribuisce la causa di tali performance a “problemi di utilizzabilità” dei servizi pubblici, traducibili nel dettaglio in scarsa usabilità, poca chiarezza percepita dall’utente ed eccessiva rigidità delle soluzioni adottate.

Secondo i dati dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, solo il 38% degli italiani che nel 2017 ha usato i servizi pubblici digitali li ha trovati semplici. Le principali criticità registrate sono legate al supporto ricevuto durante la fruizione e all’accessibilità dei servizi. In particolare, gli italiani che hanno soddisfatto una loro esigenza con strumenti digitali lamentano: l’impossibilità di personalizzare i servizi rispetto alle loro esigenze specifiche (39% degli italiani); la difficoltà nel navigare tra i menu del servizio e reperire le informazioni di interesse (35%); lo scarso supporto e la limitata assistenza ricevuti (35%); la necessità di recarsi allo sportello per finalizzare il servizio (34%); la difficoltà nel trovare i servizi (32%) e nell’autenticarvisi (30%).

Nel 2017 AgID e Team Digitale hanno avviato una serie di azioni volte a semplificare lo sviluppo e l’utilizzo dei servizi online della PA, attraverso la definizione di regole comuni per la progettazione di interfacce, servizi e contenuti. Ne sono testimonianza la nascita delle community Developers e Designers Italia e il versionamento continuo delle linee guida di design per i servizi e i siti della PA. Azioni cui ha fatto seguito la realizzazione di nuovi strumenti e toolkit per lo sviluppo di applicazioni e servizi digitali della PA, come previsto dal Piano triennale per l’ICT nella PA.

Da ultimo, il lancio di IO, il progetto per sviluppare l’app dei servizi pubblici, attraverso cui prende forma l’idea di Italia Login. L’app è ormai prossima alla fase di “closed beta” che, a partire dall’autunno 2018, vedrà l’erogazione di alcuni servizi locali e nazionali anche attraverso la app.

Le azioni avviate promettono quindi di apportare un beneficio concreto in termini di miglioramento dell’offerta di servizi digitali. Sarà però fondamentale protrarre gli sforzi intrapresi in questi ultimi anni, in modo da rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale sanciti e ulteriormente rafforzati dal recente intervento correttivo al CAD.

Raccomandazione 3.2a - Rilanciare le azioni in tema di usabilità e accessibilità dei servizi avviate negli anni scorsi, sviluppando ulteriormente community, strumenti di supporto e azioni di accompagnamento a favore delle amministrazioni

Occorre non disperdere quanto di buono fatto in questi anni sul tema della user experience dei servizi online della PA, proseguendo sulla strada tracciata negli ultimi due anni. Sarà quindi fondamentale sostenere l’ulteriore sviluppo delle comunità di pratica aperte a sviluppatori esterni alla PA e degli strumenti di accompagnamento (toolkit) messi a disposizione delle amministrazioni. Tali azioni potranno essere ulteriormente migliorate attraverso una maggiore attenzione alla misurazione dei risultati ottenuti, prevedendo adeguate forme di verifica e controllo, anche attraverso i feedback con gli utenti e considerando le ottimizzazioni come parte integrante del processo evolutivo, e non solamente come il dettaglio finale non necessario. Sarà inoltre di fondamentale importanza potenziare le attività di consulenza sul territorio avviate dal Team Digitale, sviluppando forme di affiancamento alle PA nei percorsi di trasformazione digitale, fornendo linee guida con pratiche da seguire, errori da evitare stimoli al fare, nonché supporti tecnici-formativi-informativi, circa l’uso di determinati servizi e applicazioni.

Raccomandazione 3.2b - Sviluppare servizi mobile first, utilizzando i dispositivi mobili come elemento trainante per la diffusione e l’utilizzo dei servizi

Secondo i dati dell’eGov Benchmark 2017, soltanto il 36% dei portali delle amministrazioni italiane forniscono servizi online attraverso interfacce adattive ai device mobili, a fronte di una media europea del 54%. Partire dai bisogni dell’utente vuol dire prendere definitivamente coscienza del fatto che l’accesso a internet avviene sempre meno tramite PC e sempre più tramite dispositivi come smartphone o tablet L’approccio utilizzato per l’app IO risponde proprio all’esigenza del cittadino di gestire direttamente dal proprio smartphone i rapporti con la pubblica amministrazione e l’accesso ai servizi pubblici. Pertanto, anche lo sviluppo di nuovi servizi da parte delle amministrazioni dovrà essere sempre più orientato all’utilizzo tramite dispositivi mobili (mobile first). Il mobile può infatti rappresentare l’elemento trainante per la diffusione e l’utilizzo dei servizi.

Raccomandazione 3.2c - Ripensare i servizi in digitale

Non è sufficiente, ed è anzi controproducente, digitalizzare il servizio analogico mantenendo le stesse procedure e operazioni. Il servizio digitale deve innanzitutto semplificare e velocizzare la fruizione del servizio stesso per cui bisogna ripensare completamente il servizio quando si decide di digitalizzarlo.


Promozione dei servizi

Il miglioramento dell’offerta di servizi digitali della PA deve essere necessariamente accompagnato da azioni incisive anche sul lato della domanda. Le strategie volte a promuovere un maggiore utilizzo da parte degli utenti devono tener conto delle differenti modalità attraverso cui i cittadini si rapportano con le amministrazioni (canali fisici vs canali digitali[5]), delle peculiarità delle diverse categorie di utenti della PA (cittadini, professionisti, imprese) e delle esigenze specifiche di alcune fasce della popolazione (es. anziani).

Assumono quindi grande importanza sia le azioni di comunicazione quanto le iniziative finalizzate a ridurre il digital divide nell’accesso ai servizi della PA.

Raccomandazione 3.2d - Promuovere i servizi online attraverso attività di comunicazione che mettano in evidenza i benefici concreti derivanti dal loro utilizzo

In alcuni casi, lo scarso utilizzo dei servizi online della PA è da ricondurre anche alla mancata o errata comunicazione verso il cittadino. Promuovere i servizi online della PA vuol dire innanzitutto evidenziare i vantaggi pratici connessi al loro utilizzo, traducibili principalmente in risparmio di tempo[6]e di costi

Raccomandazione 3.2e - Promuovere l’utilizzo dei servizi online attraverso meccanismi incentivanti e politiche di prezzo che ne rendano più appetibile l’utilizzo

La promozione dei servizi passa anche attraverso meccanismi incentivanti che rendano i servizi online appetibili anche dal punto di vista economico. I servizi di pagamento, ad esempio, risultano quelli maggiormente utilizzati dal cittadino. Per aumentare la loro fruizione per via telematica, si potrebbe ipotizzare l’introduzione di politiche di prezzo, prevedendo un’armonizzazione delle tariffe ritoccate al rialzo e parallelamente uno sconto consistente (es. -25%) per coloro che decidono di pagare on line. L’utilizzo di servizi pubblici dovrebbe essere promosso con incentivi non a pioggia, ma personalizzati su fasce d’età: un caso di successo è rappresentato in questo senso dal bonus cultura fruibile tramite 18App, che ha contribuito in modo significativo ad aumentare la diffusione di SPID tra i più giovani.

Raccomandazione 3.2f - Evangelizzare i cittadini all’utilizzo dei servizi online, accompagnandoli all’utilizzo delle tecnologie con azioni di presa in carico presso gli stessi sportelli fisici degli enti e azioni di formazione mirate

È necessario evangelizzare l’utenza all’utilizzo dei servizi online, sfruttando anche le possibili sinergie con i tradizionali canali di erogazione (sportelli fisici). Nel corso degli ultimi anni, alcune amministrazioni hanno avviato azioni di accompagnamento del cittadino all’uso della tecnologia per quelle categorie di utenti tradizionalmente più restie all’utilizzo dei canali digitali o maggiormente soggette a digital divide (es. anziani, persone con disabilità, famiglie a basso reddito). In particolare, attraverso i servizi di accesso assistito, gli utenti vengono accompagnati dagli operatori nell’utilizzo delle diverse procedure online, operando direttamente sul sistema in maniera guidata. Occorre mettere a fattor comune queste esperienze, diffondendo tali buone pratiche presso tutte le amministrazioni. Inoltre, le tradizionali iniziative di alfabetizzazione digitale, con alcune azioni di formazione potrebbero essere focalizzate in maniera specifica sull’utilizzo dei servizi online della PA.


Piattaforme abilitanti

Il completo dispiegamento delle principali piattaforme nazionali per la cittadinanza digitale (SPID, PagoPA, ANPR) consentirebbe a tutte le amministrazioni di usufruire di funzionalità trasversali e riusabili nei singoli progetti, accelerando e uniformando lo sviluppo di servizi digitali per il cittadino e l’impresa.

Per far fronte alle difficoltà riscontrate nell’adesione delle amministrazioni alle piattaforme, AgID e Team Digitale hanno messo in campo una serie di azioni volte a garantire la loro piena diffusione, concentrandosi in particolare sull’evoluzione di quelle già operative ma non ancora utilizzate da tutte le PA (SPID e PagoPA), sul completamento di quelle maggiormente in ritardo (ANPR) e sulla messa in esercizio di quelle nuove (ComproPA, Siope+, ecc.). Tali sforzi vanno ora rilanciati, al fine di dare piena attuazione a una delle componenti principali del nuovo sistema operativo del Paese.


SPID

SPID conta oggi più di 4.000 amministrazioni attive (già superato il target di 3.000 per il 2018) e circa 400 tipologie di servizi abilitati. Sin dal momento del suo avvio il sistema ha però sofferto della scarsa diffusione tra i cittadini italiani. A fine 2017 le identità digitali rilasciate erano circa 2 milioni, lontanissime dall’obiettivo originario di 10 milioni [8]. Eppure, proprio a partire dalla seconda metà del 2017 le identità rilasciate hanno iniziato a crescere in maniera significativa, attestandosi oggi a più di 2,7 milioni.

SPID rappresenta senza alcun dubbio l’architrave su cui si fondare la cittadinanza digitale, un progetto strategico da rilanciare e completare.

Raccomandazione 3.2g - Completare il sistema SPID con l’ingresso dei gestori di attributi qualificati e l’adesione dei service provider privati

Occorre completare SPID nel suo disegno originario, per garantire la piena diffusione e la sostenibilità del sistema, in particolare per ciò che attiene:

  • l’ingresso nel sistema dei Gestori di attributi qualificati;
  • l’adesione di service provider privati e l’integrazione dei principali servizi che fanno parte della vita quotidiana del cittadino (es. home banking), che renderanno di fatto conveniente il doversi procurare un’identità digitale (reason why), facendo da traino per una loro maggiore diffusione.

Riguardo a questo secondo punto, potrebbe essere opportuno ipotizzare un sistema di incentivi o sgravi fiscali alle imprese per aderire al sistema. La diffusione di SPID può portare all’apertura di nuovi mercati per le imprese partendo ad esempio dall’estensione della base utenti potenziale. È necessario capire quali siano questi mercati e comunicarli in modo chiaro alle imprese.

Raccomandazione 3.2h - Dotare i dipendenti pubblici di identità digitali SPID

Per diffondere l’utilizzo di SPID, si potrebbe partire proprio dalla PA abilitando e dotando di SPID tutti i propri dipendenti, sia della PA centrale che di quella locale. A loro volta i dipendenti PA si faranno promotori per dotare di SPID i propri famigliari. Per ridurre le resistenze si potrebbe utilizzare SPID anche per accedere ai sistemi informativi delle singole PA.


ANPR

Raccomandazione 3.2i - Accelerare l’avvio del domicilio digitale attraverso il completamento dell’infrastruttura nazionale per gli avvisi e le notifiche di cortesia

Il disaccoppiamento tra domicilio digitale e ANPR previsto dall’ultima modifica del CAD ha posto le basi accelerare la diffusione del primo, in attesa del completamento del secondo. Occorre ora garantire la possibilità al cittadino di comunicare il proprio domicilio digitale, principale strumento di interlocuzione digitale con il cittadino, accelerando la realizzazione dell’infrastruttura nazionale per l’emissione di avvisi e notifiche di cortesia da inviare ai cittadini, sui diversi canali digitali, per un pieno utilizzo dello strumento.


3.3 Interoperabilità e principio once only

Una delle principali barriere allo sviluppo di servizi di qualità al cittadino è ancora oggi la mancanza di integrazione tra dati e servizi delle diverse amministrazioni. Il nostro ordinamento prevede già dagli anni 90 il divieto per le amministrazioni di chiedere all’utente dati e informazioni personali già fornite ad altri enti. Un obbligo ormai formalizzato anche a livello europeo, con il nome di once only principle, ma ancora disatteso nei fatti, a causa della scarsa interoperabilità dei diversi sistemi informativi della PA.

Il Piano triennale per l’informatica nella PA sancisce la transizione a un nuovo modello di interoperabilità basato sull’approccio API-first e sull’uso di diversi standard (oltre al consolidato SOAP, si aggiungono il REST, in particolare OpenAPI, ed altri standard), al fine di garantire la corretta interazione tra cittadini, imprese e PA e favorire la condivisione trasparente di dati, informazioni, piattaforme e servizi.

In attuazione del Piano, sono state emanate le linee guida di transizione, per il progressivo superamento del precedente modello di SPCoop (Sistema Pubblico di Cooperazione), basato su standard SOAP, e la dismissione dei relativi strumenti (Porte di dominio, Buste eGov, Registro SICA), nonché i primi due capitoli delle linee guida del nuovo modello, attualmente in consultazione (i restanti 3 saranno pubblicati entro l’estate).

Le linee guida introducono alcuni importanti elementi di novità, con l’esplicita finalità di superare le difficoltà che hanno limitato la diffusione del modello SPCoop (a fine 2017 le PA aderenti al vecchio sistema erano solo poco più di 200, principalmente del livello centrale e del livello di Regioni e Province autonome). Tra queste:

  • l’apertura a nuove tecnologie che in maniera iterativa potranno aggiungersi nel tempo allo standard REST, al fine di evitare la staticità del modello;
  • il superamento dei contratti di servizio riservati alle sole PA con rapporti 1:1, con l’attivazione di integrazioni tra enti più semplici attraverso il catalogo pubblico delle API, accessibile anche da soggetti privati, che potranno quindi sviluppare direttamente servizi finali rivolti ai cittadini, realizzando nuove applicazioni basate sull’uso delle API di back-end messe a disposizione dalle PA;
  • modelli di sicurezza differenziati, a seconda delle diverse situazioni, e non più il massimo livello possibile (non ripudio) per ogni transizione.

Per garantire il successo del nuovo modello sarà tuttavia necessario intraprendere una serie di azioni di accompagnamento che ne garantiscano la piena diffusione presso tutte le amministrazioni.

Raccomandazione 3.3a - Garantire la stabilità del quadro di riferimento per un certo periodo di tempo, al fine consentire a tutte le amministrazioni di completare la transizione al nuovo modello

Le soluzioni tecnologiche ed organizzative necessarie a gestire l’interoperabilità richiedono sforzi ed investimenti ingenti, nonché tempi di attuazione presumibilmente non brevi. Occorre pertanto garantire un periodo di assestamento della cornice regolamentare delineata dal Piano Triennale e dalle linee guida, al fine di garantire agli organi di governance di sviluppare e applicare il modello, e di consentire a tutte le amministrazioni di aderirvi. Pare quindi opportuno astenersi da interventi normativi e regolatori che possano andare ad incidere sul CAD o sull’impianto definito dalle linee guida, limitandosi tuttalpiù all’integrazione di nuove tecnologie disponibili in un’ottica di aggiornamento continuo del modello.

Raccomandazione 3.3b - Promuovere la condivisione di conoscenza e l’ascolto tra amministrazioni sul tema dell’interoperabilità, anche attraverso la costruzione di appositi “luoghi” di confronto

Le nuove regole tecniche cadono in un contesto maggiormente favorevole rispetto a quello che aveva caratterizzato l’avvio di SPCoop nel 2005, soprattutto in termini di consapevolezza sull’importanza di investire sul tema. Tuttavia, per “dare gambe” all’interoperabilità serve affrontare primariamente il problema della condivisione di conoscenza maturata in questi anni da alcune PA leader e dell’ascolto dei bisogni reciproci delle altre amministrazioni. Occorre quindi un luogo di confronto e contaminazione tra amministrazioni, un vero e proprio Forum Nazionale dell’Interoperabilità, sul modello di successo del Forum Nazionale della Fatturazione elettronica. Un luogo di incontro, a partecipazione libera, rivolto principalmente agli enti chiamati a cooperare con AgID nella gestione del Catalogo delle API, con la duplice finalità di momento di conoscenza delle migliori pratiche fatte e ascolto del reale bisogno delle PA rispetto al dato detenuto dalle altre. L’attività in presenza potrebbe essere supportato da un’ambiente di collaborazione online, con alcune viste sui cataloghi delle API e gallerie di applicazioni/best practice specifiche per ogni ecosistema, evidenziando casi di riferimento potenzialmente mutuabili da parte di altri soggetti nell’ambito dell’ecosistema stesso.

Raccomandazione 3.3c - Accompagnare la transizione al nuovo modello promuovendo la condivisione di risorse e competenze tra enti, anche attraverso forme di riuso collaborativo delle soluzioni applicative già sviluppate

Occorre promuovere la consapevolezza che l’investimento in interoperabilità è vantaggioso sia in termini di risparmio futuro, sia di semplicità nello sviluppo e nell’erogazione dei servizi. Le amministrazioni dovranno essere adeguatamente supportate nell’adozione del nuovo modello, soprattutto su due fronti:

  • quello delle competenze, poiché non tutti gli enti dispongono di quelle necessarie a guidare la transizione e a governare l’attuazione delle nuove regole tecniche;
  • quello delle risorse, poiché il passaggio a un modello fondato su API e micro-servizi richiede investimenti non banali.

Sarà quindi fondamentale promuovere forme di condivisione degli investimenti e di riuso collaborativo, attraverso cui ridurre la spesa in capo alla singola amministrazione e mettere a fattor comune le diverse competenze delle amministrazioni, con un vantaggio reciproco. Sarebbe inoltre opportuno rendere obbligatoria la pubblicazione delle soluzioni implementate per favorire la pratica del riuso e abbattere tutti i costi di progettazione specifica che graverebbero soprattutto sugli enti più piccoli

Raccomandazione 3.3d - Assicurare la disponibilità di API relative alle Banche dati di interesse nazionale, per abilitare lo sviluppo di servizi innovativi verso cittadini, imprese e altre amministrazioni

Le amministrazioni hanno necessità di accedere in maniera API-first alle Basi di dati di interesse nazionale. Tali dati rappresentano infatti una fonte necessaria allo sviluppo di molti importanti servizi da parte di altre PA. Al momento però, il Piano Triennale non è chiarissimo su questo punto. Occorre quindi esplicitare l’obbligo di utilizzo di OpenAPI anche a questi soggetti. La governance di queste basi dati e il design delle relative API potrebbe essere gestita e presidiata ad AgID, in stretta collaborazione con le amministrazioni detentrici. Questa soluzione è oggi possibile per molte banche dati, anche a legislazione vigente, mentre per alcuni casi specifici (banche dati “protette”) potrebbe essere necessario un intervento normativo ad hoc.


3.4 Infrastruttura e Cloud

Il Piano triennale di AgID ha delineato un percorso volto al consolidamento delle infrastrutture digitali delle PA. La razionalizzazione delle infrastrutture IT rappresenta infatti un elemento cardine della complessiva strategia italiana per la crescita digitale, passaggio necessario per garantire maggiori livelli di efficienza, sicurezza e rapidità nell’erogazione dei servizi a cittadini e imprese.

Il percorso evolutivo delineato dal Piano si articola lungo due direttrici strategiche, strettamente connesse tra loro. Da un lato, la razionalizzazione dei data center pubblici, per porre termine alla forte frammentazione delle risorse e alle frequenti situazioni di inadeguatezza tecnologica riscontrate da AgID nella sua attività di ricognizione. Dall’altro, la definizione e la successiva implementazione di un modello strategico evolutivo di cloud della PA, paradigma finora applicato in modo estremamente disomogeneo e limitato all’adozione di pochissime soluzioni.

L’attuazione del Cloud della PA è invece fondamentale non solo per una questione di inadeguatezza tecnologica e razionalizzazione, ma anche perché con il rapido evolvere della tecnologia, la gestione IT totalmente interna diventerà insostenibile da un punto di vista di costi e competenze, soprattutto per gli enti locali, inibendo la capacità delle amministrazioni di fare innovazione.

Alcuni importanti passi sono già stati compiuti: è il caso delle circolari sui criteri per la qualificazione dei Cloud Service Provider (CSP) per la PA e per la qualificazione di servizi Software as a Service (SaaS) per il Cloud della PA. Molti altri dovranno essere completati al più presto, in primis il completamento del complesso processo di individuazione, qualificazione e costituzione dei Poli Strategici Nazionali (PSN).

Sebbene la strada sia ormai tracciata, il percorso di attuazione dovrà tener conto di alcune criticità da affrontare in maniera prioritaria.


Migrazione delle applicazioni in cloud

Il consolidamento dei data center senza il quello delle applicazioni genera scarso valore e, in certi casi, rischia di avere un effetto netto di crescita dei costi (anche assumendo l’adozione di ambienti fortemente virtualizzati).

Il percorso attuativo del processo di razionalizzazione del patrimonio informativo della PA deve tener conto della possibilità di dover riscrivere e migrare tutte le applicazioni, attualmente in esercizio nella pubblica amministrazione, che non siano compliant rispetto a un modello di cloud centralizzato. Da un lato l’AgID sta facendo in modo di far convergere in modo cloud centrico, tramite i cosiddetti Poli Strategici Nazionali, una serie di centri elaborazione dati (CED) che non sono strategici. Dall’altra parte, affinché questo abbia successo, le piccole amministrazioni vanno accompagnate nel riscrivere il proprio sistema; non tutti i software sono cloud oriented e, prima che possano essere migrati in un cloud, la pubblica amministrazione deve sostenere un costo.

Raccomandazione 3.4a - Definire regole chiare per la migrazione delle applicazioni in esercizio nella PA verso il nuovo modello cloud centralizzato

La migrazione delle proprie soluzioni verso i Poli nazionali deve seguire delle regole di accompagnamento, di interoperabilità e di coordinamento nazionale, senza le quale il successo di una rapida centralizzazione può venir meno. Il piano strategico, soprattutto a livello infrastrutturale, ha un senso se viene accompagnato immediatamente da un’analisi costo/benefici dei servizi e delle modalità centralizzate con cui essi devono essere erogati.

Raccomandazione 3.4b - Incentivare l’aggregazione tra soluzioni territoriali e valorizzare quelle già esistenti

Il processo di migrazione può essere aiutato se si alza la prospettiva dal solo livello infrastrutturale a quello applicativo. Spesso le realtà locali, almeno su alcune tipologie di software, hanno esigenze del tutto simili portate però a termine con applicativi diversi. Incentivare le iniziative di aggregazione tra questi enti limitrofi a livello territoriale e valorizzare quelle già esistenti può essere un primo passo per rendere possibile il processo di migrazione e accorciare i tempi di attuazione del piano su tutto il territorio. Soprattutto alla luce di situazioni in cui è già presente un reparto IT ben strutturato e sono stati effettuati ingenti investimenti in tecnologia pregressi, che possono e devono essere valorizzati. Anche a livello di PSN, pensare alla creazione di un’offerta applicativa oltre che infrastrutturale può essere un elemento di spinta per gli enti verso la centralizzazione.


Ulteriori spunti

Raccomandazione 3.4c - Garantire il maggior coinvolgimento possibile di tutti gli stakeholder nel percorso di transizione al modello basato su Cloud

Il cloud è un elemento indiscutibile per la trasformazione digitale della PA che deve essere condiviso con tutti gli stakeholder. Le amministrazioni, i fornitori, le rappresentanze dei cittadini e il potere politico dovrebbero comprendere la complessità della trasformazione digitale basata sul cloud, secondo il percorso indicato nel Piano Triennale per l’informatica nella PA, e non limitarsi agli slogan. Occorre accompagnare con la massima concretezza questa fase di trasformazione.

Raccomandazione 3.4d - Rafforzare le infrastrutture di rete per garantire l’attuazione del paradigma Cloud

La connettività è un prerequisito indispensabile per lo sviluppo del Piano, dei servizi e dell’impatto di questi sull’economia. La disponibilità di banda larga e ultra larga è indispensabile per l’attuazione del paradigma cloud.

Raccomandazione 3.4e - Prestare attenzione al problema sociale delle piccole realtà territoriali

Razionalizzare vuol dire anche superare l’iper-frammentazione. Si deve essere consapevoli che dietro l’attuale frammentazione vivono tante piccole realtà che spesso alimentano l’economia locale. Si apre un problema politico: come integrarle senza inficiare il piano di razionalizzazione?


3.5 Sicurezza informatica

Il triennio 2016-2018 sarà probabilmente ricordato come quello della presa di coscienza del rischio cyber e della necessità di un deciso cambio di passo in tema di sicurezza informatica nella pubblica amministrazione. Non è infatti un caso che la legislatura appena conclusa sia stata caratterizzata da una produzione normativa e regolamentare senza precedenti che, anche per effetto dell’accelerazione impressa dall’adozione di importanti provvedimenti in ambito UE (Direttiva NIS e GDPR su tutti), ha portato non solo alla ridefinizione dell’architettura nazionale e della strategia italiana per la sicurezza, ma anche a una nuova centralità del tema nel percorso evolutivo dell’informatica pubblica.

Un centralità sancita dallo stesso Piano Triennale di AgID, che non si limita ad annoverare il tema tra le sue componenti, ma identifica il progetto di digital security della PA come un elemento di garanzia dell’intero modello evolutivo dell’informatica pubblica.

L’adozione delle misure minime di sicurezza ICT, il rilascio delle linee guida di sviluppo sicuro del software da parte di AGID e l’obbligo di adozione dei piani di continuità operativa, prima eliminati e poi reintrodotti (con modifiche) nelle ultime due revisioni del CAD (art. 51) rappresentano solo alcune testimonianze di una rinnovata attenzione del settore pubblico per il tema.

La strada da percorrere è però ancora lunga, sia in termini di completamento del quadro regolatorio, sia dal punto di vista dello sviluppo di una cultura della sicurezza adeguata alle nuove sfide.


Sicurezza e normativa tecnica

Un primo fondamentale passo sarà costituito dal completamento delle azioni previste dal Piano, in particolare l’approvazione delle Linee guida del modello architetturale di gestione dei servizi critici e le Regole tecniche per la sicurezza ICT delle PA, due importanti documenti tecnici originariamente attesi per l’autunno dello scorso anno.

Tuttavia, l’esperienza maturata negli ultimi anni suggerisce di adottare un diverso approccio alla normazione tecnica in materia di sicurezza. In particolare, il processo di adeguamento alle Misure minime di AgID ha evidenziato le enormi difficoltà incontrate dagli enti (in particolare quelli più piccoli), nel dare attuazione all’insieme di controlli previsti dalla direttiva, anche a quelli di livello minimo [9]. Un’evidenza di cui si dovrà tener conto nella predisposizione di norme che si annunciano molto più complesse e sfidanti delle misure minime, come ad esempio quella delle future Regole tecniche.

Raccomandazione 3.5a - Adottare un approccio alla normativa tecnica che tenga conto delle effettive capacità degli enti di dar seguito alle disposizioni e che preveda sistemi di sostegno e supporto all’adozione delle regole

L’esperienza delle misure minime suggerisce una maggiore attenzione, nella fase di normazione, alle effettive capacità degli enti di dar seguito a standard e regole tecniche, nonché l’esigenza di potenziare le attività di affiancamento degli enti, analogamente a quanto fatto su altre linee d’azione previste dal Piano triennale.


Collaborazione tra pubblico e privato

La sfida per l’Italia negli anni a venire è quella di approcciare al tema della sicurezza come sistema Paese. Per far ciò è essenziale che organizzazioni pubbliche e private si rafforzino in maniera omogenea e reciproca, evitando così che un anello debole della catena possa inficiare la sicurezza del sistema nella sua interezza.

In questo senso anche esperienze negative o non perfettamente riuscite devono servire come occasione di miglioramento per capire dove si è sbagliato ed aggiustare il tiro.

Raccomandazione 3.5b - Sviluppare progetti di collaborazione tra pubblico e privato, a partire dal tema dei presidi di sicurezza e sui meccanismi di condivisione delle informazioni

Le iniziative già consolidate quali il Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica e le Misure minime di sicurezza ICT per le PA vanno affiancate da progetti di collaborazione tra pubblico e privato. Sarebbe auspicabile che enti pubblici ed aziende collaborassero sempre di più con l’obiettivo di creare un livello minimo di sicurezza integrabile nei presidi di sicurezza, come i Security Operation Center (SOC) o i Computer Emergency Response Team (CERT), insistendo sui concetti di collaborazione e condivisione delle informazioni e ripensando anche modelli organizzativi tradizionali in ottica di nuove minacce. Iniziative in tal senso sono già in corso e dovranno essere consolidate ed estese.


Cultura e fattore umano

Il miglioramento della sicurezza informatica passa dalla migliore comprensione dei comportamenti degli operatori di un’organizzazione e delle diverse modalità con cui le persone interagiscono con i dati critici e la proprietà intellettuale. Oggi non esistono più utenti “neutri” da un punto di vista della sicurezza: o l’utente è perfettamente consapevole di cosa sta facendo, e pone massima attenzione a ciò che fa, oppure rappresenta un rischio per la sicurezza dell’organizzazione.

Il mantenimento nel tempo di livelli adeguati di compliance alla normativa di riferimento non passa necessariamente dalla rivoluzione delle tecnologie già implementate, ma dalla mitigazione del rischio connesso ai comportamenti non adeguati. Occorre quindi costruire e promuovere un cambiamento culturale che – al di là dei comportamenti più singolari e aneddotici – garantisca una visione diversa del ruolo di responsabilità e di presidio di ogni singolo utente.

Raccomandazione 3.5c - Promuovere lo sviluppo di attività di sensibilizzazione e informazione costanti nel tempo, secondo una logica iterativa

Molte PA hanno realizzato in questi anni iniziative volte all’accrescimento della consapevolezza del rischio informatico da parte dell’utenza interna. Esistono in questo senso differenti strumenti (formazione in aula, e-learning, pillole formative, campagne di phishing simulato), utilizzabili anche in maniera combinata. Tuttavia, ciò che emerge maggiormente dall’esperienza maturata dalle amministrazioni più virtuose è l’importanza della continuità di queste iniziative, che devono rimanere costanti nel tempo ed essere rimodulate di volta in volta in base ai risultati raggiunti. Pressione e costanza sono quasi sempre più importanti di grandi iniziative una tantum.

Raccomandazione 3.5d - Customizzare le attività di sensibilizzazione e formazione rispetto al target di riferimento

Educare i dipendenti a tutti i livelli è fondamentale, qualsiasi sia la loro funzione di appartenenza, ma le attività formative devono essere in linea con le caratteristiche e con le esigenze degli utenti. Dovrebbero per esempio essere previsti programmi di formazione specifici per i nuovi assunti, piuttosto che sessioni più specialistiche per le funzioni più tecniche, o ancora iniziative dedicate ai vertici delle PA o attività indirizzate ai dipendenti che lavorano costantemente a contatto con il pubblico.

Raccomandazione 3.5e - Legare lo sviluppo di policy e disciplinari ad attività propedeutiche di sensibilizzazione sui rischi connessi al mancato rispetto delle regole

L’esigenza di sviluppare policy e disciplinari per dare regole chiare agli utenti interni si scontra spesso con comportamenti diffusi che portano al mancato rispetto di tale regole, o nei casi più gravi, nella totale ignoranza della loro stessa esistenza. L’esperienza insegna che le policy vengono effettivamente osservate laddove, a monte della loro pubblicazione, si sia fatta adeguata sensibilizzazione sulla gravità di determinati rischi e sulle relative conseguenze in termini di responsabilità individuale, evidenziando come quelle policy, se opportunamente adottate, rappresentino una risposta sia in termini di risoluzione del problema, sia in termini di tutela per l’utente stesso.


Sicurezza applicativa e filiera del software

Storicamente sottovalutata come area su cui operare, la sicurezza applicativa rappresenta un aspetto critico su cui concentrarsi anche in ambito pubblico. Un primo passo in tal senso è stato fatto con l’approvazione da parte di AgID delle Linee guida per lo sviluppo del software sicuro. Tuttavia, molto c’è ancora da fare per abilitare processi di gestione dei fornitori da un punto di vista cyber security, acquisizione e sviluppo dei prodotti che possano misurare anticipatamente la sicurezza del proprio portafoglio applicativo.

La sicurezza applicativa passa necessariamente da una migliore politica di vendor management.

Raccomandazione 3.5f - Condizionare la possibilità di essere fornitori della PA al rispetto di modelli di sviluppo certificati in grado di produrre software sicuro e di alta qualità

Molto spesso, la sicurezza non viene considerata adeguatamente in sede di scrittura dei capitolati (tempi e budget non adeguati, ad es. per eseguire penetration test e agire in caso di rilevazione di problemi) né nella fase di gestione del contratto (es. difetti di fabbricazione scoperti ex post non coperti da garanzia, ma soggetti a nuovi preventivi). L’importanza dei test è in alcuni casi sottovalutata, con enti che chiedono al proprio fornitore di farne a meno a fronte di uno sconto sul costo della fornitura, non comprendendo che il rischio legato a una vulnerabilità può risultare molto più costoso. Sviluppare in maniera sicura vuol dire trasformare vulnerability assessment e penetration test in semplici formalità, che riporterebbero tuttalpiù il fisiologico 1-2% di problemi. È quindi necessario un maggiore sforzo da parte di vendor in termini di attenzione alla qualità dei prodotti software per la PA. Sarebbe opportuno richiedere ai propri fornitori l’utilizzo di modelli di sviluppo del software in grado di produrre codice sicuro, facendo del rispetto di cicli di sviluppo certificati una precondizione necessaria a lavorare per la PA.

Raccomandazione 3.5g - Prevedere oneri invarianti per la sicurezza nelle gare per la realizzazione di un servizio o prodotto digitale

Occorre prevedere oneri invarianti per la sicurezza all’interno delle gare per la realizzazione di un servizio/prodotto digitale: un requisito minimo e intoccabile, che non può essere oggetto di ribasso, analogamente a quanto avviene per la sicurezza delle persone in altri tipi di gare (ad es. quelle riguardanti i lavori pubblici). Una previsione peraltro in linea con il GDPR, che richiede servizi sicuri by design, quindi fin dalla fase di progettazione.

Raccomandazione 3.5h - Accelerare la creazione di una struttura nazionale di certificazione del software

Tale struttura consentirebbe di usufruire di tecnici che possano testare i software creati per la PA e assicurarne la conformità alle regole AGID e al GDPR (privacy by design).


3.6 Dati pubblici

I dati rappresentano la materia prima dell’economia digitale. La pubblica amministrazione è il soggetto che produce e utilizza la più grande quantità di dati, dati che se aperti alla collettività svelano tutto il loro potenziale di acceleratori di sviluppo e di crescita. La liberazione e valorizzazione dei dati pubblici rappresenta inoltre uno strumento chiave attraverso cui attuare in pieno l’approccio dell’Open Government e mettere in pratica i principi di trasparenza, accountability, partecipazione e collaborazione.


Open Data

Il DESI 2018 registra un avanzamento strutturale dell’Italia in tema di dati aperti, passando dal 19° posto del 2017 all’8° posto nel 2018, portandosi così sopra la media UE. Ciò conferma quanto espresso dal rapporto Open Data Maturity in Europe 2017: l’Italia si posiziona tra i trendsetter, ossia i Paesi più avanti rispetto a Open Data Readiness, (la capacità di implementare una politica di Open Data a livello nazionale), e Portal Maturity (la disponibilità di un portale nazionale di dati aperti usabile e con funzionalità avanzate per il riuso dei dati).

Questo passo in avanti è da attribuire al modello di gestione dei dati delineati dal Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2017-2019 che riconosce negli Open Data una delle leve fondamentali nel processo di trasformazione in atto, che non può prescindere da trasparenza e circolazione di informazioni riutilizzabili. Tra gli elementi delle Infrastrutture Immateriali, il Piano mette in evidenza infatti il rilascio di dati pubblici secondo il paradigma dell’Open Data e loro riutilizzo, agendo sull’individuazione di basi di dati chiave di particolare interesse per la collettività da liberare, e indicando come strumento di lavoro un paniere dinamico dei dataset.

Nel tentativo di un sempre crescente coordinamento nazionale, attuando i principi di trasparenza e accountability, anche il portale dati.gov.it rafforza la propria centralità. Il monitoraggio dei progetti di trasformazione digitale conferma per gli Open Data ritmi di avanzamento in progressiva crescita: 387 Amministrazioni pubblicano 20.387 dataset, superando i target di dataset posto a 15.000 per il 2018 (dati al 30.04.2018).

Raccomandazione 3.6a - Definire un modello di business chiaro e strategico legato alla liberazione e al riuso degli Open Data pubblici

Si rendono sempre più necessari sia l’apertura di dati pubblici di alto valore commerciale che la collaborazione con creativi, soggetti competenti, università e startup. Una volta definito questo, interventi come il DAF diventano tecnicismi necessari di una strategia più complessiva. Da questo punto di vista le proposte sono diverse. Tra queste quella di creare un organismo a partecipazione pubblico-privato, e che riconosca nei privati, che utilizzano i dati pubblici e che ne fanno profitto, i soggetti con cui individuare modelli di business e proposte di soluzioni e prodotti da sviluppare con i dati liberati. All’interno di queste riflessioni si colloca anche quella sul compenso economico alla PA a seguito della liberazione dei dati a sua disposizione. I modelli possibili sono diversi, da quello che fissa delle soglie quantitative di accesso gratuito ai dataset oltre le quali si stabiliscono delle commissioni, a quello che distingue le tipologie di soggetti che possono accedere ai dataset gratuitamente da quelli che devono pagare una fee.

Raccomandazione 3.6b - Accrescere la liberazione di i dati di interesse e ad alto impatto

Il processo di liberazione dei dati deve essere Demand Driven, cioè deve puntare ad individuare le priorità di rilascio di dati di particolare interesse pubblico e ad alto impatto dal punto di vista sociale ed economico. I momenti di confronto e incontro tra amministrazioni e stakeholder, incluse le attive comunità civiche sugli Open Data [10], rappresentano da questo punto di vista delle occasioni importanti di verifica delle esigenze di dati da parte del territorio e di mappatura dei dataset immediatamente “liberabili” oltre che di collaborazione nelle fasi di apertura e valorizzazione. L’approccio Demand Drive e la necessità di comprendere realmente e a monte il potenziale di riuso di dati da liberare non devono però essere un alibi per arrestare i processi di apertura e di facilitazione delle pratiche di riuso.

Raccomandazione 3.6c - Attivare un monitoraggio continuo dell’impatto del valore economico e sociale dei dati liberati

Gli studi di impatto assumono un ruolo fondamentale. Il monitoraggio dell’impatto dal punto di vista economico e sociale dei dataset liberati deve essere parte integrante del processo di apertura. I benefici e l’impatto degli Open Data a livello economico e sociale risultato ancora poco conosciuti e soprattutto ancora difficili da misurare. Quello che emerge dagli studi presenti è un ecosistema ancora in via di sviluppo.

L’aspetto del monitoraggio è fondamentale sia dal punto di vista dell’analisi dell’offerta di Open Data che di domanda. I dati infatti vengono liberati, ma non è facile conoscere chi li riutilizza e cosa genera dal riuso. La misurazione dell’effettivo riuso e la conoscenza della platea di riutilizzatori sono dimensioni fondamentali del monitoraggio.

Raccomandazione 3.6d - Razionalizzare il sistema normativo per far sì che l’Open Data attraversi tutti i settori della PA in grado di produrre dati e generare informazioni

È necessario incidere sulle norme di settore (edilizia, attività produttive, ecc…) affinché il processo digitale, e all’interno di questo la liberazione degli Open Data, attraversino verticalmente i settori della PA in grado di mettere a disposizione pubblicamente dati e produrre informazioni disponibili al riuso.

Questo permette di affermare il concetto di Open Data by design (oltre il concetto di Open Data by default).

Raccomandazione 3.6e - Puntare sulla qualità, e non sulla quantità dei dataset da pubblicare

L’innesco di meccanismi virtuosi di coinvolgimento e monitoraggio/valutazione della qualità dei dataset pubblicati è senz’altro un vantaggio. La qualità del dato e sua disponibilità (data as a service e non data on demand) sono infine strettamente collegati per garantire un processo di liberazione realmente efficace e utile.

Raccomandazione 3.6f - Investire in formazione su Open Data a tutti i livelli per sviluppare una cultura del dato e delle opportunità connesse alla liberazione

La formazione in materia di Open Data è sicuramente uno degli elementi chiave per la creazione un contesto favorevole alla pratica del riuso degli open data ma anche e, per alcuni versi, soprattutto sviluppare conoscenze e competenze necessarie per portare avanti i processi di liberazione e valorizzazione del patrimonio informativo pubblico.

Formazione e accompagnamento sono quindi necessarie all’interno della PA tra gli operatori e le persone che sono coinvolte nel processo di apertura affinché sviluppino conoscenze e competenze di base, tecniche e approfondimenti. In questo caso l’operazione può collocarsi anche a monte del processo di selezione dei corsi-concorsi, attraverso l’inserimento di moduli formativi specifici dedicati al tema dei dati aperti.

Interessanti percorsi formativi sono rappresentati anche da occasioni quali «hackathon», «opendataday» e «webinar» come anche corsi online. Le comunità civiche attive sugli open data portano, altresì, avanti iniziative formative preziosissime per migliorare le competenze digitali sui dati aperti di dipendenti e dirigenti della PA. Sarebbe auspicabile accompagnare e sensibilizzare le PA ad intraprendere attività come queste per contribuire al processo di formazione in materia open data.

Raccomandazione 3.6g - Definire un modello di governance del dato e progettare automatismi organizzativi e tecnologici

Quello che si configura come sempre più necessario è la definizione di un adeguato modello di governance del dato interno all’amministrazione. Bisognerebbe da questo punto di vista definire un modello a partire dalle buone pratiche italiane e straniere.

La data governance deve avvalersi sempre più dello sviluppo di automatismi, rispetto ai quali emerge una sempre maggiore necessità di vincoli tecnologici da una parte che orientino in maniera uniforme il lavoro ma anche di una maggiore usabilità degli stessi così da incoraggiarne gli utilizzatori.

La data governance va collegata anche all’inserimento dei processi di apertura degli open data della valutazione dirigenziale. Si deve lavorare progressivamente verso un’ingegnerizzazione delle procedure, del metodo e del consolidamento di strutture organizzative incaricate dei processi di generazione e pubblicazione open data.

Raccomandazione 3.6h - Promuovere un coordinamento nazionale delle iniziative locali e investire in innovazione

Non si può più fare a meno di una visione nazionale e unitaria in materia di Open Data. L’opportunità di un salto più in alto nel coordinamento di tutte le iniziative locali a livello nazionale viene evidenziata peraltro nell’overview sulla situazione italiana all’interno del rapporto Open Data Maturity in Europe 2017. Adesso bisogna fare sistema. Da questo punto di vista, l’azione del Data Analytics Framework già si muove in questa direzione. Per i prossimi passi, bisogna insistere sull’apertura delle basi dati chiave, ovvero dataset di particolare interesse perché in grado di rappresentare i fenomeni “in maniera standardizzata a livello nazionale e la cui disponibilità secondo il paradigma dell’open data assume pertanto rilevanza nazionale” [11] .

In ultimo, è necessario prendere consapevolezza sul fatto che il processo di apertura dei dati rappresenta ad oggi ancora un costo per la PA: per fare formazione e per immettere in organico competenze adeguate, per cambiare i processi, per fare cultura e per facilitare le realtà private che possano usare i dati, sono necessari investimenti.

Raccomandazione 3.6i - Introdurre uso obbligatorio di API per favorire la pubblicazione automatica dei dati e le operazioni di riuso dei dati aperti

Nel definire strumenti e applicativi gestionali da utilizzare nelle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali è necessario puntare sull’uso di API (Application Programming Interface) per pubblicare, in modalità automatica, dati tematici aggiornati in tempo reale. L’uso di API pubbliche (e documentate) serve per creare un sistema di dati pubblici in formato aperto a cui poter fare riferimento per creare qualsiasi tipo di riuso costante ed utile alla società e per la nascita di nuove forme di economia. Si andrà così oltre i tentativi delle singole PA, supportando l’azione di diffusione della cultura del riuso oltre che dell’obbligo della trasparenza.


Data & Analytics Framework

Il Data & Analytics Framework (DAF) è il grande progetto di coordinamento a livello nazionale della gestione dei dati delle pubbliche amministrazioni. Il DAF disegna una strada comune per le amministrazioni e vuole essere la strumento per tradurre concretamente la strategia di valorizzazione del patrimonio dati del nostro Paese.

Il DAF è parte integrante del Piano triennale e con l’ultima riforma del CAD, all’art 50-ter il sistema normativo ha introdotto la Piattaforma Digitale Nazionale dei Dati (nome tecnico del DAF).

I principi alla base di questo strumento sono:

  • l’interoperabilità, ovvero il superamento della logica dei silos i dati;
  • la standardizzazione, ovvero la possibilità di far dialogare basi di dati;
  • il dato come bene comune, da cui estrarre valore e conoscenza e per mettere a punto azioni di policy making adeguate.

Il DAF è in primis una piattaforma tecnologica con un grande data lake e una struttura big data. Il DAF mette inoltre a disposizione delle amministrazioni degli strumenti per la standardizzazione delle procedure di lavoro con i dati. È attualmente in corso la fase di messa in produzione del DAF per le singole PA. In questa fase importante, a partire dall’esperienza di amministrazioni che stanno sperimentando il DAF e di imprese che lavorano nel mondo dei dati, ci siamo chiesti su cosa sia necessario puntare per far sì che questo grande progetto a livello nazionale avanzi efficacemente.

Raccomandazione 3.6l - Definire azioni di rafforzamento delle competenze necessarie per operare con il DAF, specialmente in ambito creazione e analisi di dataset

Le linee di azione sono due: da una parte la massima valorizzazione delle competenze interne alla PA e dall’altro un utilizzo di partnership con privato per far crescere competenze interne e far crescere il progetto DAF. Necessario l’inserimento di personale giovane, formato su questi temi, per far crescere il personale di età media presente nella PA volenteroso di apprendere. Incidere sullo sviluppo delle competenze di analisi del dato. Usare a tal fine gli strumenti e le linee guida messe a disposizione all’interno del DAF che permettono di supportare le risorse delle diverse PA nello sviluppo delle competenze “tecniche” (statistico-matematiche) necessarie a svolgere le operazioni di gestione del dato. Strutturare dei meccanismi che permettano alle amministrazioni di lavorare fianco a fianco con il Team di esperti che lavora al DAF al fine di operare un’azione di trasferimento delle competenze nelle singole PA e di prioritizzare gli interventi da compiere. Da questo punto di vista è necessario definire degli strumenti sia pratici (documenti / sistemi per la strutturazione e la sottomissione delle idee) sia organizzativi (linee guida, modelli, ecc.). Strutturare degli interventi di coaching da parte delle PA più grandi (es. regioni, comuni particolarmente grandi, ecc.) nell’accompagnamento delle PA più piccole all’interno del DAF, così da svolgere un ruolo di “collante” tra il DAF e le piccole PA locali. Dare spazio ad interventi di formazione per insegnare alle amministrazioni l’utilizzo degli strumenti già ad oggi messi a disposizione dal DAF.

Raccomandazione 3.6m - Lanciare una comunicazione capillare che permetta alle Amministrazioni di comprendere i benefici del DAF

Avere una piattaforma come quella del DAF consente di svolgere attività che oggi le Amministrazioni non sono in grado di realizzare da sole. Un’azione capillare e diffusa sui vantaggi che un’Amministrazione trae dall’utilizzo di uno strumento di questo tipo permetterebbe da una parte di accelerare il processo di adesione al DAF e dall’altra di fare sistema. Molto spesso per esempio le Amministrazioni si trovano ad acquisire le stesse banche dati a pagamento dal privato. Sarebbe necessaria una maggiore sinergia tra PA per far sì che le informazioni acquistate una volta possano essere messe a disposizione delle altre PA. La sinergia permetterebbe peraltro di rompere i silos, abbattendo la resistenza a cedere il dato acquisito.

Raccomandazione 3.6n - Individuare le modalità per dedicare risorse economiche a progetti di implementazione del DAF all’interno delle singole pubbliche amministrazioni

Sarebbe opportuno studiare ed implementare nuovi strumenti con cui le singole PA possano trovare le risorse necessarie ad affrontare i progetti in ambito DAF o rendere più flessibili quelle forme già previste nell’ambito del Codice degli Appalti.

Raccomandazione 3.6o - Facilitare e stimolare la condivisione dei dati e delle relative analisi nonché la collaborazione tra le diverse PA

Mettere maggiormente a fattor comune il lavoro fatto da alcune PA, soprattutto quelle centrali per facilitare il lavoro delle PA locali andando anche a standardizzare i dataset e le analisi condivise. Redigere delle linee guida su come strutturare determinati tipi di analisi, così da standardizzare il metodo di lavoro (facilitando anche PA più piccole che hanno meno risorse, sia umane che economiche, a disposizione). Istituire dei meccanismi, operativi, organizzativi e tecnologici, volti a migliorare la comunicazione delle attività svolte all’interno del DAF, così da evitare la duplicazione degli sforzi e, contemporaneamente, ispirare altre PA su possibili analisi da svolgere.

Raccomandazione 3.6p - Migliorare la qualità dei dati raccolti, prodotti e condivisi

Prevedere dei piani di formazione / comunicazione volti a diffondere la cultura del dato e l’importanza della qualità di questo all’interno delle PA a tutti i livelli. Diffondere le linee guida strutturate all’interno del DAF e/o da altre PA centrali (es. ISTAT) al fine di uniformare alcune procedure di raccolta dei dati, data quality, metadatazione dei dataset. Uno dei punti tipicamente collegati alla metadatazione dei dataset è quello delle ontologie. Sarebbe opportuno mappare le ontologie già create dalle PA centrali sui temi di loro interesse, così da utilizzarle come punto di partenza rispetto ai dataset che le PA locali potranno poi andare a creare e monitorare nel tempo l’evoluzione di queste ontologie, così da tenerle sempre aggiornate rispetto alle esigenze delle PA di tutti i livelli, mantenendo un governo centrale che eviti ri-lavorazioni e duplicazioni degli sforzi. Potrebbe essere utile pensare ad una ontologia di riferimento che funzioni da linee guida per la modellazione concettuale dei dati pubblici e che permetta di confrontarsi e di condividere accordi di significato. Avere dati di qualità significa poter rappresentare fedelmente i fenomeni. È necessario anche creare la cultura e la conoscenza di cosa significhi rappresentare i dati in modo efficace. Per questo motivo sarebbe utile creare delle linee guida con gli elementi essenziali da rispettare nella rappresentazione dei dati, oltre a cheat sheets che rendano più semplice selezionare il tipo di rappresentazione in base alla tipologia di analisi di cui si vuole comunicare il risultato.

Raccomandazione 3.6q - Definire e rafforzare progetti di partnership pubblico privato

La collaborazione pubblico – privato diventa strategica per far progredire il progetto. Sarebbe necessario a questo livello istituire dei tavoli di lavoro con aziende private: da un lato per coinvolgere i data provider per acquisire in modo centralizzato i dati da rendere poi disponibili a tutte le PA (questo processo oggi esiste, ma viene gestito singolarmente dalle PA, portando così a sprechi per acquisti ripetuti) e standardizzare insieme a loro i formati in cui queste informazioni vengono rese disponibili; dall’altro potrebbe coinvolgere anche i software vendor così da fare leva sulle loro esperienze (sia in campo pubblico che privato) e supportare le PA locali nell’identificazione di eventuali fabbisogni esterni alla logica del DAF.


3.7 Tecnologie emergenti

Gli ultimi anni hanno visto l’affermazione di nuovi trend nel panorama tecnologico nazionale e internazionale. Trend che sono andati a consolidarsi soprattutto nel mondo privato, ma che recentemente hanno iniziato a fare capolino anche nel panorama della pubblica amministrazione.

Queste tecnologie rappresentano oggi una nuova frontiera per la PA, che offre grandi opportunità in termini di efficientamento della macchina pubblica e di miglioramento dei servizi a cittadini e imprese, in grado di contribuire in maniera sostanziale al raggiungimento degli obiettivi di ammodernamento degli enti pubblici.


Blockchain

Quando se ne iniziò a parlare su scala globale e l’argomento iniziò a suscitare un certo interesse in ambito business - circa 10 anni fa - blockchain era sinonimo di Bitcoin e cryptovalute. Nel tempo la tecnologia si è sviluppata, soprattutto in ambito finanziario, e oggi che è in una fase di sviluppo più maturo, la blockchain è una tecnologia che può trovare applicazione nei più diversi ambiti dell’economia digitale. I punti di forza risiedono nella decentralizzazione, che contribuisce a garantire la sicurezza tramite la distribuzione delle informazioni e dei ruoli tra più attori, e nell’uso estensivo della crittografia, che garantisce la riservatezza dello scambio di informazioni, oltre all’inalterabilità delle stesse. La debolezza è nel fatto che non esistono ancora standard condivisi su scala internazionale e che si sconta una certa “diffidenza” naturale, tipica delle nuove soluzioni che si affacciano in campi già solidamente strutturati. Ulteriori limiti sono rappresentati dalla mancanza di competenza e da una certa confusione riguardo i suoi possibili utilizzi.

La promessa di poter ottenere il massimo della sicurezza e dell’affidabilità a costi contenuti è, tuttavia, una molla che fa scattare l’interesse dei “pionieri” del settore, e i risultati che ne seguiranno determineranno il successo o il fallimento dell’innovazione.

Ovviamente, sarebbe un errore pensare che la blockchain possa o debba essere applicata in tutti i settori: ce ne sono alcuni già sufficientemente consolidati dove non porterebbe vantaggi apprezzabili, e altri dove la sua introduzione potrebbe essere in grado di innescare una rivoluzione.

Il tema dell’applicazione della blockchain impone di portare in primo piano il tema della Governance. La blockchain è una eccellente soluzioni in determinate situazioni e a determinate condizioni, diversamente non può portare vantaggi o mantenere le promesse di efficienza, di apertura, di sicurezza e di trasparenza che la contraddistinguono. Serve una governance prima di tutto a livello di analisi dei bisogni (che possono essere soddisfatti con servizi basati sulla blockchain) e a livello di modalità e di regole di applicazione (che permettono alla blockchain di sviluppare le sue potenzialità).

Tra i possibili ambiti di applicazione della blockchain è emerso in tempi più recenti quello della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di rendere più semplice il rapporto tra il cittadino e la PA, portando una ventata di innovazione all’interno degli uffici pubblici. Come succede anche in altri settori innovativi, le sperimentazioni in campo sono già diverse, e il punto chiave in questo momento è capire dove effettivamente la blockchain può consentire un salto di qualità in termini di sicurezza, decentralizzazione, disintermediazione (e quindi semplificazione), trasparenza, verificabilità e tracciabilità.

Raccomandazione 3.7a - Fornire supporto allo sviluppo della tecnologia blockchain in ambito PA, anche attraverso una maggiore partecipazione dell’Italia alle iniziative a livello comunitario

L’innovazione deve svilupparsi in libertà, confrontarsi con il mercato e i contesti di applicazione, sfidare la propria esistenza sul campo. In un’ottica di open innovation, la blockchain evolve e si sviluppa nel dialogo e confronto tra ricercatori, tecnici, imprenditori, stakeholders e utenti. Tuttavia anche le istituzioni svolgono un loro ruolo specifico e, nel caso della blockchain, questo risiede nell’investimento in dispositivi normativi, sia in chiave di standardizzazione, sia di riconoscimento istituzionale.

L’Italia, rispetto al primo punto, è chiamata ad assumere un ruolo maggiormente attivo e partecipe sui tavoli in cui si discute e si definisce l’impianto di standardizzazione della tecnologia blockchain; a partire dall’adesione alla European Blockchain Partnership per passare ad una più efficace partecipazione ai lavori di organizzazioni come UNI.

La standardizzazione e la partecipazione ai tavoli europei sui quali si discute e si decide delle linee guida di sviluppo sono due tasselli essenziali per garantire che gli investimenti in tecnologia e in progetti portino buoni risultati. La blockchain può tradursi in pratica solo se ci sono le condizioni per una reale interoperabilità e la definizione prima e il rispetto poi di standard e guidelines sono fondamentali. Il problema oggi (con standard in gran parte ancora da definire) è prima di tutto portare la voce dell’Italia nelle sedi in cui queste decisioni iniziano ad essere poste e affrontate.

Raccomandazione 3.7b - Sfruttare la tecnologia blockchain nello sviluppo dei servizi rivolti al cittadino e al sistema economico, soprattutto quelli di carattere transnazionale

La tecnologia blockchain consente di sviluppare soluzioni sicure e trasparenti, molto utili ed efficaci nei casi in cui si debba garantire una equidistanza e un ruolo di garanzia (trust) nelle transazioni e nelle registrazioni. Investire in questa tecnologia, per i contesti idonei e in cui risulta più efficace, consentirebbe di migliorare alcuni servizi e di fornire quelle garanzie di sicurezza a cui i cittadini e le istituzioni stanno prestando sempre maggiore attenzione.

In alcuni casi la logica dei Distributed Ledger può davvero svolgere un ruolo rivoluzionario nel ripensare le logiche di funzionamento degli archivi e della registrazione delle transazioni. Si tratta di un’opportunità che non può essere persa e che va condivisa a livello europeo e internazionale perché spesso la blockchain è utile proprio nei casi di transazioni internazionali.

Per fare questo si deve investire in competenze e formazione, favorendo lo sviluppo di iniziative di ricerca, sperimentazione e educazione. La formazione alla blockchain non può essere vista solo come una formazione di tipo tecnico o tecnologico. La blockchain è un nuovo paradigma in termini di gestione delle relazioni e delle transazioni, necessita di una revisione delle regole di governance tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini e ha bisogno di un percorso di formazione per preparare le organizzazioni, gli uffici e le persone a una gestione che se da una parte consente maggiore autonomia e maggiore trasparenza, dall’altra necessita di strutture allenate e preparate a superare le modalità operative tipiche della centralizzazione per facilitare e sostenere modalità distribuite. La formazione non si deve fermare agli «uffici pubblici» e agli Enti ma deve coinvolgere i cittadini con un’opera di sensibilizzazione e di accompagnamento, per sfruttare al massimo e al meglio i servizi che possono essere attivati. È necessario favorire il riconoscimento del tema e delle competenze a questo legate, come pure la collaborazione pubblico-privata in iniziative congiunte di sperimentazione e imprenditorialità. Cresce quasi ogni giorno il numero delle startup che «usano» la blockchain per creare nuovi servizi o per rivedere le logiche di servizi tradizionali. La Pubblica Amministrazione dovrebbe aumentare e rafforzare le attività di Open Innovation favorendo l’intraprendenza di nuove imprese che possano accelerare l’introduzione di valori come efficienza, qualità dei servizi, maggiore coinvolgimento dei cittadini e altro nei rapporti tra popolazione e servizi pubblici. La blockchain più di altre forme di innovazione si presta allo sviluppo di forme di Open Innovation e ha bisogno di nuove idee e nuove visioni anche da parte di chi guarda alla PA dall“«esterno». In questo caso la PA svolge un ruolo di regia e coordinamento: è cruciale la disponibilità e la partecipazione alla costruzione di piattaforme e protocolli condivisi nonché il contributo attivo delle agenzie pubbliche che operano nel settore.


Intelligenza Artificiale

L’Intelligenza Artificiale (IA) è un paradigma che va sempre più diffondendosi dentro le aziende in quanto fattore tecnologico incredibilmente abilitante, in grado di sollevare le persone dai compiti più semplici per ricollocarle su task dal valore più alto. Oltre che all’interno delle aziende, esistono già diverse applicazioni di questa tecnologia nei sistemi pubblici, come quello scolastico o giudiziario, ma anche nel pubblico impiego o nel sistema sanitario, nella sicurezza o nella gestione delle relazioni coi cittadini. Gli ambiti sono dunque molteplici anche all’interno della PA, che tuttavia non può non tener conto di vizi e criticità portate da una tecnologia così complessa. Su questa consapevolezza si sta muovendo anche l’Agid, che lo scorso settembre ha lanciato una Task force sull’Intelligenza Artificiale, che a sua volta ha dato vita a un Libro bianco sul tema, un documento finalizzato a stimolare una riflessione condivisa con gli enti che porti poi alla realizzazione di una vera strategia italiana.

L’Italia non è dunque all’anno zero, come testimoniato anche da alcuni esempi che raccontano di una PA viva e curiosa. Per accelerare sullo sviluppo di servizi 4.0, c’è bisogno di una programmazione e di una pianificazione precisa per non disperdere tempo e risorse.

Raccomandazione 3.7c - Partire dalle indicazioni del Libro bianco sull’IA nella PA per sviluppare una vera strategia nazionale sul tema

La futura strategia nazionale sull’intelligenza artificiale dovrà prevedere risorse e obiettivi chiari, dovrà sancire in che modo le nuove applicazioni contribuiranno alla complessiva strategia di ammodernamento della PA, in termini di snellimento burocratico, interoperabilità tra sistemi e creazione di nuove forma di trasparenza. La strategia dovrà inoltre prevedere un modello di regia centralizzata che permetta di scalare e replicare i progetti virtuosi a livello nazionale e di evitare la frammentazione che caratterizza ancora oggi molti progetti di PA digitale. Sarà inoltre indispensabile il coinvolgimento di istituzioni, economisti, sociologi e filosofi: solo realizzando luoghi istituzionali dove queste forme di dialogo etico e di regolamentazione delle biotecnologie possano avvenire si potrà affrontare una reale ricerca oggettiva del bene

Raccomandazione 3.7d - Sviluppare un’intelligenza artificiale specifica per la Pubblica Amministrazione

La sfida primaria è oggi legata allo sviluppo di una intelligenza artificiale specifica per la Pubblica Amministrazione, in modo che l’ontologia di fondo sia conforme ai task reali che i sistemi di IA andranno poi a svolgere. Nello sviluppo dello strato tecnologico «di fondo» importantissimi saranno i dataset, quindi prima ancora di sviluppare qualcosa bisognerà verificare che tipo di dati possiede la PA italiana e in che modo «qualificarli» affinché possano essere utilizzati per lo sviluppo e l’addestramento dell’IA.

Raccomandazione 3.7e - Partire dalle applicazioni di IA in tema di informazione del cittadino

Un primo rapido passo raggiungibile con tecnologie ormai sufficientemente mature è l’applicazione dell’IA alla sfera dell’informazione verso il cittadino. Questa potrebbe infatti essere facilmente automatizzata tramite sistemi di riconoscimento testo, linguaggio naturale e sistemi conversazionali per fornire non solo informazioni, ma anche una prima assistenza nel corso dell’erogazione del servizio.

Footnotes

[1]L’Agenda Digitale è infatti una delle sette flagship initiatives della strategia Europa 2020
[2]Codice dell’amministrazione digitale, Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 14-bis .
[3]Qui il dossier di commento di FPA del settembre 2016
[4]La definizione di questo indicatore è stata modificata. Nel 2017, questa voce misurava la percentuale di utenti di servizi di eGov sul totale di utilizzatori di Internet. Il nuovo indicatore definisce invece gli utenti eGovernment come la percentuale degli utenti Internet tenuti a presentare moduli alla pubblica amministrazione.
[5]Secondo i dati dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, nel 2017 il 20% degli italiani non ha avvertito nel 2017 l’esigenza di utilizzare un servizio pubblico, il 27% ha fruito del servizio recandosi esclusivamente allo sportello, il 26% ha utilizzato esclusivamente canali digitali, il 27% ha adottato una soluzione ibrida (sia canali digitale che sportello).
[6]Riduzione dei tempi di attesa di chi ha usato almeno un canale digitale per soddisfare una sua esigenza tramite un servizio pubblico (62%), riduzione dei tempi di processamento e ritiro/inoltro dei documenti (56%). Fonte: Osservatorio Agenda Digitale
[7]Il 73% di chi ha fruito di un servizio pubblico su canali digitali ha registrato un risparmio dovuto alla possibilità di svolgere tutte le operazioni da casa. Il 61% indica invece una riduzione dei costi vivi del servizio (es. minor imposta di bollo). Fonte: Osservatorio Agenda Digitale
[8]10 milioni di utenti previsti per la fine del 2017 dal Primo Rapporto di monitoraggio sull’Agenda per la semplificazione di aprile 2015.
[9]Le misure minime sono state sviluppate in maniera modulare, in modo da non costringere le PA a introdurre misure esagerate rispetto alla propria organizzazione. I controlli sono quindi divisi in tre gruppi progressivi: livello minimo, standard e alto. Il livello minimo è quello obbligatorio per tutte le PA, indipendentemente da natura e dimensione, e rappresenta la soglia di sicurezza sotto il quale nessuna amministrazione dovrebbe scendere.
[10]Come ad esempio le comunità Spaghetti Open Data e OpendataSicilia
[11]Cit. AgID

4. Politiche verticali per la sostenibilità

4.1 Sanità

La sostenibilità del nostro Sistema Sanitario e, soprattutto, il suo carattere universalistico sono messe alla prova dalla divaricazione tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini.

Nei prossimi anni l’invecchiamento demografico e l’aumento della speranza di vita faranno lievitare la domanda di assistenza e cura: con il 21,8% dei cittadini over 65 e il 6,5% over 80, l’Italia è il Paese più vecchio in Europa, e si posiziona al secondo posto nel mondo, preceduto solo dal Giappone. La bassa natalità è destinata a peggiorare la situazione: si prevede che nel 2050 gli anziani sopra i 65 anni saranno il 34,6% della popolazione, mentre gli ultraottantenni raggiungeranno quota 14,9%. A ciò si aggiunge che l’aspettativa di vita in buona salute all’età di 65 anni in Italia è tra le più basse nei paesi OCSE, con 7,5 anni senza disabilità per le donne e circa 7,8 anni per gli uomini.

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A fronte di questo la spesa sanitaria pubblica, negli ultimi anni, è stata praticamente stabile, ma è cresciuta la componente a carico delle famiglie: nel 2016 in Italia sono stati spesi circa 150 miliardi di euro per la Sanità, di cui circa 112 a carico del Sistema Sanitario Nazionale e 37 di “out of pocket” e a carico di assicurazione private. Si tratta di una cifra complessiva apparentemente enorme, ma in realtà moderata se rapportata al PIL e confrontata con altri Paesi europei: infatti, rappresenta “appena” l’8,9% del reddito nazionale, una percentuale decisamente inferiore a quella di altri Paesi come Germania (11,3%), Francia (11%) e Regno unito (9,7%). Occorre, inoltre, sottolineare che tale spesa è stata pressoché stabile negli ultimi anni (nel 2012 la spesa complessiva era di 144,5 miliardi, di cui 34 privata) ma che la spesa out of pocket ha aumentato la sua incidenza sul totale. Se, come risulta da stime recenti, la spesa sanitaria nazionale dovesse salire nel 2025 a 210 miliardi di euro, una larga parte degli ulteriori 60 miliardi necessari a coprire tale fabbisogno potrebbe essere a carico delle famiglie: molte di esse, anche nel cosiddetto ceto medio, si troverebbero nella sostanziale impossibilità di accedere alle cure, producendo fenomeni preoccupanti di disuguaglianza e degrado sociale. I dati Eurostat relativi al 2016 mostrano, infatti, come oltre il 20% della popolazione abbia avuto difficoltà elevata o moderata nel permettersi le cure.

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Per rispondere a questi fenomeni di radicale cambiamento del quadro sociale e epidemiologico, nella scorsa legislatura, sono state messe in campo iniziative come il Piano Nazionale della Cronicità (PNC) e il Decreto sui nuovi Livelli essenziali di assistenza (LeA). All’interno del Piano triennale per l’Ecosistema Sanità sono stati evidenziati tre progetti a titolo esemplificativo: Fascicolo Sanitario Elettronico, come esempio di infrastruttura abilitante; Centro unico di prenotazione (CUP), da realizzare su tutto il territorio nazionale per favorire l’accesso alle cure e la riduzione dei tempi di attesa; Telemedicina, per migliorare la fruibilità delle cure, dei servizi di diagnosi e della consulenza medica a distanza. Per la riduzione del rischio clinico è stata approvata la legge Gelli-Bianco sulla responsabilità professionale (legge n. 24/2017).

Questi interventi normativi, da soli, non servono a ridurre il forte divario tra risorse disponibili e bisogni crescenti della popolazione. Quello che si rende necessario è un processo di innovazione dei processi del SSN, pena il peggioramento della qualità dei servizi sanitari, come segnala l’ultimo rapporto Euro Health Consumer Index, in cui l’Italia è passata, tra il 2010 e il 2017, dal 14° al 22° posto delle 35 nazioni censite a livello europeo per performance del sistema sanitario.


Rinnovamento organizzativo e tecnologico del SS

Enti centrali, regioni, Aziende sanitarie sono attori chiave nel determinare le scelte di rinnovamento del SSN. Dopo anni di spinte innovatrici isolate e legate a singole personalità, produttrici di eccellenze ma non di pratiche diffuse, dobbiamo registrare un aumento della consapevolezza tra i decisori pubblici (a livello centrale e territoriale) circa la necessità e l’urgenza di una risposta in termini di sistema. Per l’efficacia di questa risposta è necessario chiarire bene ruoli di Ministero, regioni e Aziende sanitarie in una governance con livelli diversi, irrinunciabili, cooperativi nella costruzione di sistemi sanitari regionali orientati all’efficienza, alla qualità dell’assistenza sanitaria e all’innovazione come volano di sviluppo economico. Governo e regioni devono provare a raccordare le politiche, condividere obiettivi, linee guida da trasferire alle Aziende sanitarie. Esse devono essere il vero motore del cambiamento, in funzione della prossimità con i bisogni dei cittadini e degli operatori sanitari. Legittimando e valorizzando (un primo passo è stato fatto con l’Albo dei DG) una classe dirigente, che ha garantito flessibilità e capacità di gestione negli anni più duri del SSN (2010-2015); che sarà essenziale per gestire aziende che diventano sempre più grandi e complesse.

Rinnovamento organizzativo e innovazione tecnologica rappresentano fattori abilitanti fondamentali per la risposta ai nuovi bisogni di salute dei cittadini e per la sostenibilità del SSN. Per cronicità, disabilità, salute mentale, assistenza domiciliare è il SSN che deve prendersi cura del cittadino, riducendo disuguaglianze e difficoltà di accesso ai servizi, assicurando una risposta integrata e duratura. L’innovazione tecnologica è da sostenere con un piano nazionale di investimenti come i fondi per l’Art. 20 della legge n. 67/88, sostenuto però da un sistema di valutazione dei progetti e controllo nell’utilizzo dei fondi più stringente e che premi le regioni capaci. Un’attività di misurazione della qualità dell’assistenza resa ai cittadini, della sostenibilità delle cure, dell’equità di accesso alle cure che sempre più deve diventare uno standard del nostro Servizio sanitario nazionale nelle componenti economico – gestionale, organizzativa, finanziaria e contabile, nonché clinico – assistenziale, di efficacia clinica e dei processi diagnostico – terapeutici, della qualità, sicurezza ed esito delle cure e della trasparenza dei processi.

La tecnologia (con big data) sarà lo strumento per mettere a frutto tutte le informazioni e i dati a disposizione. Le persone che devono essere assistite e curate in questo senso diventano fornitori di informazioni utili al rinnovamento dell’organizzazione del SSN.

Tecnologia e organizzazione sono leve fondamentali anche per innovare la logistica sanitaria, da tempo considerata la chiave per migliorare le prestazioni erogate; per contribuire all’efficienza delle nostre strutture sanitarie; per garantire sicurezza a pazienti e operatori. La chiave per rispondere a questi bisogni è da riscontrarsi in:

  1. Innovazione organizzativa delle strutture, perché diventino asset strategici di sviluppo, anche economico. Attraverso hub logistici esterni e una rete operativa interna; gestione terziarizzata; delocalizzazione in aree idonee; micrologistica, che introduce sistemi gestionali di controllo del flusso magazzino di reparto/somministrazione;
  2. Innovazione delle competenze (capacity building) manageriali e specifiche dei professionisti e degli operatori, in grado di garantire la governance del processo attraverso indicatori di performance e customer satisfacion, con la certezza che l’innovazione logistica sia una grande occasione di contrasto al rischio clinico, che si genera in ospedale;
  3. Innovazione tecnologica con la condivisione reale e la gestione sicura dei dati e delle informazioni; i sistemi identificativi.

Alcune regioni hanno realizzato delle esperienze interessanti per alcune fasi del processo logistico, altre hanno definito un percorso progettuale, altre hanno preso atto delle realizzazioni più o meno integrali messe in essere da alcune aziende sanitarie locali/ospedali di punta del loro territorio. Non ci sono, allo stato attuale degli atti, provvedimenti che stabiliscano su scala nazionale indirizzi per costituire soluzioni di logistica sanitaria in ambito regionale.

Sussiste la necessità di definire criteri, standard, indicatori che assicurino che:

  • la logistica sanitaria sia una funzione dell’ospedale e, più complessivamente, dell’azienda sanitaria locale;
  • la logistica sanitaria assicuri il raggiungimento di uniformi livelli di servizio nel magazzino centrale e cooperi al conseguimento dei livelli di servizio in ambito ospedaliero;
  • l’investimento necessario da parte del partner privato per la struttura e l’infrastruttura avvenga sulla base di dati tecnico-amministrativi certi.

Raccomandazione 4.1a - Spostare le cure dall’ospedale al territorio e definire processi di presa in carico dei sempre più numerosi pazienti cronici

È necessario costruire un modello di presa in carico in cui l’azienda sanitaria svolga un ruolo di regia e integrazione tra gli attori che operano con il cittadino, utilizzando le tecnologie per il telemonitoraggio, la telemedicina, la teleassistenza. Un sistema informatizzato regionale deve essere integrato con le iniziative socio-assistenziali. Altro tema importante è quello dell’assistenza domiciliare integrata, per cui è essenziale mettere in rete i care-giver, anche informali (badanti) e curarne la formazione, potenziare le equipe territoriali e il ruolo dell’infermiere di territorio.

Raccomandazione 4.1b - Realizzare applicazioni per valorizzare il flusso di informazioni che il SSN produce quotidianamente

Il patrimonio di dati preziosissimi destinati a crescere per mole e rilevanza rischia a causa della digitalizzazione ancora parziale e disomogenea del SSN di rilevarsi nei fatti non disponibile o inutilizzabile. In questo modo si penalizza l’appropriatezza terapeutica e si agisce con ritardo e poca incisività su sprechi e possibili abusi. I dati ci servono per migliorare le performance ed il modello di funzionamento degli Enti del SSN. Sarà opportuno:

  • Stabilire policy di data governance per avere dati di qualità;
  • creare un mix di competenze, favorendo la cooperazione strutturata di data scientist con i leader del cambiamento, i process owner e gli esperti di dominio.

Raccomandazione 4.1c - Semplificare il procurement dell’innovazione digitale

La spesa digitale in Sanità è frammentata e cresce con lentezza. Le complicazioni introdotte dalle norme sulla trasparenza, dal nuovo codice degli appalti, dalla scarsa conoscenza di strumenti di acquisto innovativi (Procedure competitive con negoziazione, nuovo dialogo competitivo, partenariato per l’innovazione) da parte delle funzioni aziendali responsabili, ha prodotto una burocrazia difensiva che, di fronte a troppe norme non definite, si astiene dal prendere decisioni che possano comportare rischi. Tali vincoli normativi sono incompatibili con chi deve erogare servizi sanitari e con il mandato delle Direzioni aziendali. Pertanto è necessario:

  • Diffondere l’uso intelligentemente delle convenzioni Consip: SGI e SPC;
  • far precedere le gare Consip da una fase di analisi dei fabbisogni contestualizzata sui processi standardizzabili in modo da creare le condizioni per un utilizzo uniforme/focalizzato delle convenzioni;
  • creare un catalogo delle soluzioni e Certificazione soluzioni (Ministero della Salute, AGID, IASO, FederSanità, Agenas, ASSINTER, UniIndustria, Confindustria Digitale);
  • realizzare un Osservatorio nazionale dei prezzi;
  • sviluppare competenze all’interno delle Centrali acquisti (ma anche all’interno di
  • regioni, ASL, AO, AOU) e favorire l’integrazione tra le figure preposte nelle organizzazioni all’innovazione con la funzione acquisti;
  • redigere manuali operativi per indicare come si utilizzano gli strumenti di procurement innovativo (sottoporre proposta ad ANAC e Corte dei Conti).

Raccomandazione 4.1d - Definire piani di indirizzo di logistica sanitaria

La definizione di tali piani dovrà tradursi, nell’ambito nazionale, in:

  • Definizione di un apposito piano indirizzi (ad integrazione di quelli vigenti per il SSN) per prevedere hub logistici, esterni all’ospedale, in ciascuna regione, aventi livelli di servizio coerenti con la fruizione dei beni trattati (ad esempio, tempo massimo di percorrenza dall”hub all’ospedale, magazzino sanitario dedicato, modalità della scorta unica, ecc.);
  • disciplinare le forniture ospedaliere di farmaci per dosi unitarie;
  • determinare nella legge di bilancio 2018 le risorse economiche dedicate alla realizzazione di hub logistici sanitari e l’allestimento di infrastrutture di rete ad alta velocità connesse.

Per l’ambito regionale, invece, in:

  • una programmazione specifica di ciascuna Regione (quale strumento di affiancamento della programmazione sanitaria) di insediamento degli hub dedicati alla sanità, prevedendone uno per 1,5 milioni di abitanti od area vasta subregionale o bacino regionale;
  • la definizione di alcune caratteristiche generali dell’hub: tipologia di gestionale informatico, integrazioni con l’ambito economico-contabile e quello clinico-documentale, servizio di convalida e di vigilanza della Farmacia ospedaliera, estensione o meno all’ambito di preparazione di farmaci, ecc.;
  • formulare le varie modalità giuridiche di realizzazione degli hub, anche a seguito di soluzioni di PPP od altre partecipazioni di operatori privati;
  • definire la misura, come i livelli minimi di logistica sanitaria, di alcuni indicatori ormai consolidati nell’esperienza logistica, quali l’indice di rotazione delle scorte, la giacenza media di magazzino, ecc. distintamente per tipologia di bene.

Raccomandazione 4.1e - Costruire rapporto di fiducia tra cittadini e enti della sanità

Il cittadino deve essere sempre più al centro del SS, attivo e partecipe nella corretta gestione della propria salute. Anche in questo ambito il digitale può giocare un ruolo fondamentale.

Riguardo l’accesso ai servizi, sarà indispensabile:

  • attuare un approccio multicanale, tradizionale e digitale (incrementare la diffusione di SPID, attraverso la consegna di credenziali presso le strutture di cura o indagine diagnostica);
  • semplificare l’accesso reso difficile da interpretazione rigida e formale della protezione dei dati personali;
  • adottare tecnologie il più possibile simili a quelle d’uso comune (come le App);
  • accelerare il processo di diffusione del FSE (con PDTA integrati)

Riguardo la comunicazione, invece:

  • spostare la comunicazione circa i servizi offerti e la prevenzione dai siti internet degli enti agli strumenti che i cittadini ritengono propri (social network), garantendo la sicurezza e la privacy dei dati personali contenuti nei profili-utente e un approccio più trasparente nell’indicare le informazioni di accesso ai servizi;
  • profilazione degli assistiti (cfr. raccomandazione dati) per personalizzare l’informazione, la comunicazione e i canali.

4.2 Lavoro e occupazione

I dati ISTAT mostrano che un tasso di occupazione al 58%, il livello più alto dal 2009, pur «rimanendo 0,7 punti al di sotto del picco del 2008», il valore massimo pre-crisi. Lo stesso discorso vale per il numero di occupati, che sono risultati 23 milioni e 23 mila (con una crescita dell’1,2%, ovvero 265 mila persone in più al lavoro). L’aumento della presenza al lavoro «per il secondo anno consecutivo coinvolge anche i giovani di 15-34 anni, fascia di età in cui gli occupati sono saliti di 45mila unità (+0,9%). Aumentano soprattutto i posti di lavoro a tempo determinato e sono ancora grandi le distanze tra le aree del Paese: Nord, Centro e Sud mostrano infatti tutti un’occupazione in recupero, tuttavia mentre nel Centro-Nord il tasso di occupazione raggiunge livelli pressoché analoghi a quelli del 2008, arrivando al 66,7% nel Nord e 62,8% nel Centro, nel Mezzogiorno l’indicatore è ancora al di sotto del 2008 di 2,0 punti (44,0%). Il tasso di disoccupazione è sceso nel 2017 di 0,5 punti percentuali, dall’11,7% all’11,2% dell’anno precedente: si tratta del livello più basso dal 2013. Calano anche gli inattivi (coloro che non cercano né hanno occupazione). La discesa della disoccupazione «è più forte per i più giovani in confronto ai 35-49enni mentre per gli ultra 50enni aumenta sia il numero di disoccupati sia il tasso di disoccupazione».

Raccomandazione 4.2a - Favorire un ecosistema che leghi tutti i diversi attori delle politiche per il lavoro, agevolando la nascita di “Reti locali per l’occupabilità” e l’integrazione pubblico-privato

E’ fondamentale garantire alle persone un ecosistema che offra perpetue opportunità di apprendimento, competenze, abilità, etc. Entrano in campo una serie di soggetti, non solo il settore pubblico che può agire in questa filiera, ma anche i privati. Si coinvolgono non solo le agenzie per il lavoro ma tutta la filiera del lavoro che è anche la filiera formativa (pubblica e privata). Uno scenario complesso, dove deve esserci collaborazione, nel senso di ripartizione e integrazione delle competenze. Si devono favorire solide integrazioni tra scuola, università, imprese, centri e agenzie per l’impiego, fondi interprofessionali, che sono ancora agli albori.


Occupazione giovanile

Secondo Eurostat, nel 2017 i NEET italiani (Not in education, employment or training) sono il 25,7%, dieci punti sopra la media europea che è pari al 14,3%. Emergono differenze tra le diverse aree del Paese: secondo ISTAT, infatti, i NEET sono il 17% al Nord, il 20,4% al Centro e il 34,2% nel Mezzogiorno. La crisi ha profondamente cambiato anche l’incidenza dei NEET con riferimento al livello di istruzione: se, infatti, nel 2008 questi erano maggiormente diffusi fra i giovani con solo la licenza media, negli anni della crisi la crescita ha riguardato principalmente giovani con medio e alto titolo di studio. Oggi l’incidenza dei NEET è simile sia per i giovani con licenza media (22,7%) sia per quelli con diploma o laurea (22,9%), mentre è significativamente superiore per chi ha un diploma di scuola superiore (26,1%).

L’ANPAL ha provveduto a istituire il nuovo “Incentivo Occupazione Giovani” per promuovere l’occupazione dei NEET di età compresa tra i 16 e i 29 anni che hanno aderito al programma. Si tratta di una misura rivolta ai datori di lavoro che effettuino assunzioni di giovani da gennaio 2017 a dicembre 2018, con contratto a tempo indeterminato (anche part-time), contratto di apprendistato professionalizzante o contratto a tempo determinato della durata di almeno 6 mesi. Le risorse stanziate ammontano a circa 200 milioni di euro e sono indirizzate a tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano. A fine giugno 2017 le domande presentate erano state quasi 50.000, di cui oltre il 60% sono state confermate.

Con il Decreto 21 novembre 2016, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha previsto un conguaglio contributivo per i datori di lavoro che, nel corso del 2017, senza esservi tenuti, assumano giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, o alternativamente soggetti di età superiore ai 25 anni privi d’impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi. La sede di lavoro deve essere localizzata in una delle regioni del Sud e il rapporto di lavoro deve necessariamente essere instaurato attraverso un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato professionalizzante.

Raccomandazione 4.2b - Riformare i centri per l’impiego

I centri pubblici per l’impiego non devono svolgere un compito burocratico, ma fare tutto ciò che può essere funzionale alla persona. Si devono praticare le politiche del lavoro osservando i bisogni della persona. Un soggetto dedicato non tanto e non solo all’incontro domanda offerta, quanto all’orientamento e collocamento mirato, alla formazione, al reskilling della persona mirato a una soluzione lavorativa.

Raccomandazione 4.2c - Introdurre l’assegno di ricollocamento, come strumento sistemico e non come intervento di nicchia

Questo è uno strumento delineato all’interno del Jobs Act, in fase di sperimentazione in Regione Lombardia. E’ lo strumento con cui la persona che è disoccupata o inoccupata sceglie liberamente il servizio al quale rivolgersi e questo viene remunerato almeno in parte sulla base del risultato. Obiettivo dell’assegno: dare impulsi competitivi all’offerta di servizi, spezzare l’autoreferenzialità che ha spesso caratterizzato molti servizi (soprattutto pubblici) e creare un contesto di positiva concorrenza per meglio soddisfare l’aspettativa di occupazione.


4.3 Città e territori

Con l’approvazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS) presentata al Consiglio dei Ministri il 2 ottobre 2017 e approvata dal CIPE il 22 dicembre 2017, le politiche urbane sono tarate in chiave di innovazione e sostenibilità. L’ Agenda per lo sviluppo urbano sostenibile proposta da ASviS, Urban@it e ANCI collega i 17 SDGs alle attività delle amministrazioni locali e di governo. Il documento contiene gli obiettivi che le aree urbane devono raggiungere per attuare la Strategia Nazionale e le politiche necessarie, che dovranno diventare parte integrante dell’Agenda urbana nazionale. Al tema della sostenibilità si collega, quindi, la riflessione sulla definizione di un’Agenda urbana come strumento di perseguimento degli obiettivi di grande impatto e interesse pubblico.

Sul tema delle risorse a disposizione delle città e del territorio, fa fede il PON “Città metropolitane 2014 – 2020” cui afferiscono 892,9 milioni di euro della politica di coesione, e il cosiddetto Bando periferie, il “Bando per il programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia” pubblicato nel maggio del 2016. Tra i soggetti beneficiari del bando, oltre ai comuni capoluogo, anche le Città metropolitane, enti di recente istituzione e quindi chiamate per la prima volta ad agire nelle politiche di rigenerazione urbana, intesa come politica di area vasta. L’intervento arriva a mobilitare quasi 4 miliardi di euro complessivi. A questo si aggiungono i 16 Patti per il Sud: uno per ognuna delle 8 Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna), uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo, Cagliari) e il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) di Taranto. I Patti declinano concretamente gli interventi che costituiscono l’asse portante del Masterplan per il Mezzogiorno.


Coordinamento centro-periferia

Un passaggio necessario è quello di ripensare l’agenda delle priorità della politica pubblica nazionale, dedicando più attenzione al territorio, alle città, ai comuni e alle forme di collaborazione civica e pubblica. In particolare, è necessario che si sostengano i comuni sul piano della programmazione, della progettazione degli interventi e della previsione di politiche ideali di cambiamento, con particolare attenzione alle aree più degradate e alle periferie.

Rendere i Comuni, in particolare quelli piccoli e medi, sempre più in grado di rispondere alle sfide globali che ricadono sui contesti urbani e rurali, riducendo i divari e attraendo nuove energie e nuovi residenti, rappresenta l’elemento di fondo da cui far ripartire l’intero governo del territorio su basi istituzionali più solide. Per questo motivo uscire dalla logica di smart city riservata solo alle grandi città, puntando a rendere più efficienti e dinamiche anche le piccole realtà può diventare la chiave di volta di un cambiamento strategico, a patto che si riparta dalle esigenze reali dei cittadini in termini di accesso a servizi e spazi di qualità.

Raccomandazione 4.3a - Adottare un’Agenda urbana nazionale che assuma la forma di un patto tra amministrazione centrale e autorità urbane e che tenga conto dei risultati e dei temi emersi dall’azione delle città su scala nazionale ed europea

L’Agenda urbana nazionale dovrebbe: essere uno strumento concreto attraverso il quale perseguire obiettivi di grande impatto e interesse pubblico e avere al centro i temi della sostenibilità come proposto dall’“Agenda per lo sviluppo urbano sostenibile” elaborata da ASviS, Urban@it e ad ANCI, che individua gli obiettivi che le aree urbane devono raggiungere per attuare la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e le politiche necessarie. La definizione di una Agenda urbana nazionale che si componga dei risultati e dei temi più significativi emersi dall’azione delle città su scala nazionale ed europea costituisce il punto di partenza per una vera multilevel governance, capace di mettere in rete risorse e competenze dal livello centrale fino a quello locale. Dare continuità al lavoro progettuale delle città facilitando l’utilizzo di quella cassetta degli attrezzi in materia di politiche urbane che l’Europa si prepara a razionalizzare in vista della prossima politica di coesione rappresenta anche un presupposto fondamentale per dare realmente valore all’azione di quel centinaio di città pioniere, che grazie al Piano Periferie, a URBACT e Urban Innovative Actions negli ultimi anni hanno sperimentato modalità di rilancio urbano partecipato che possono fare da modello anche a tanti contesti di piccole e medie dimensioni.

Raccomandazione 4.3b - Individuare un punto di riferimento all’interno dell’amministrazione centrale che abbia il compito di coordinare le politiche per le città e di definire l’Agenda urbana nazionale

Quest’ultimo punto fa parte dei 10 punti di ASviS che sono stati sottoscritti dalle principali forze politiche del Paese.

Raccomandazione 4.3c - Recuperare e sviluppare l’esperienza del Bando periferie

Bisogna rendere stabili misure di finanziamento che, ad oggi, sono state straordinarie, andando verso un programma ordinario per le zone maggiormente vulnerabili delle città: un “Piano strategico per le città italiane” di carattere pluriennale. Si deve superare la logica dei bandi, prevedendo un meccanismo di finanziamento continuativo, premessa indispensabile per dare continuità al lavoro di progettualità delle città.

Raccomandazione 4.3d - Costituire una Commissione bicamerale per le città e le periferie, come proposto dalla Commissione d’inchiesta parlamentare sulla condizione delle periferie urbane

L’obiettivo è passare dalla straordinarietà della Commissione d’inchiesta all’ordinarietà di una Commissione che diventi il luogo dove si esaminano provvedimenti, si acquisiscono pareri, si sviluppano proposte. È un po’ il ruolo che ha la Commissione bicamerale per le questioni regionali, quindi si tratterebbe di affiancare a questo strumento già esistente uno strumento nuovo sul tema delle città e delle periferie.

Raccomandazione 4.3e - Realizzare una Strategia per le aree urbane

Riprendere la logica della Strategia nazionale per lo sviluppo delle “Aree interne” avviata nel settembre 2012 dall’allora Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca con il supporto di un Comitato Tecnico Aree Interne costituito allo scopo. Obiettivo della Strategia: garantire l’accessibilità a servizi essenziali, quali istruzione, mobilità e sanità, nei territori interni rurali e prevede per ciascuna area-progetto una strategia di sviluppo con una serie di interventi da attuare attraverso un Accordo di Programma Quadro (APQ). Gli interventi previsti dall’APQ sono finanziati a valere sui Fondi europei e sulle risorse stanziate dalla legge di Stabilità.

Raccomandazione 4.3f - Dare seguito al PON Metro, realizzando i progetti approvati

Mettere in campo tutte le risorse possibili per mantenere gli impegni che le città hanno assunto nei confronti del governo e dell’Europa, quindi usare le misure complementari e i piani di rafforzamento amministrativo per dare sostegno alle città nella spesa, nel dare attuazione ai progetti presentati e approvati.

Raccomandazione 4.3g - Rendere strutturale un’azione di monitoraggio delle attività e dei progetti in corso nelle città italiane, in particolare nelle periferie delle grandi città

Questo potrebbe offrire all’intero sistema che si occupa di politiche urbane in Italia un ulteriore piano di incontro e di confronto fra amministratori, funzionari ed esperti: un nuovo punto di partenza per politiche davvero integrate e partecipate che mettano le esigenze delle persone al centro di tutto. A questo va ovviamente unita una maggiore solidità negli strumenti di programmazione offerti dalla scala europea fino a quella regionale, per favorire una messa in pratica di approcci ed esperienze innovative e una contaminazione tra innovatori che possono davvero risultare i change maker delle nostre città.


Poteri locali e associazionismo comunale

La legge 205/2017 ha prorogato ancora una volta (fino al 31 dicembre 2018) i termini entro i quali i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti (fino a 3 mila se appartenenti a comunità montane) avrebbero dovuto avviare l’esercizio obbligato in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unione o convenzione (come previsto dal decreto legge 78/2010). Questo carattere di obbligatorietà finora non ha dato frutti. In caso di inadempienza il decreto prevedeva l’avvio di una procedura sanzionatoria che avrebbe dovuto portare al commissariamento. Finora però, invece che sulle sanzioni, la scelta è caduta sulla ripetuta proroga dei termini previsti dalla legge. La situazione dell’associazionismo comunale è quindi ancora caotica e disomogenea come del resto il quadro di riferimento dei poteri locali in Italia, nonostante i tentativi di riordino, come quello della legge Delrio 56/2014.

Raccomandazione 4.3h - Attuare la riforma Delrio, lavorare a un riordino e a una riforma organica dei poteri locali

E’ necessario il completamento sul piano costituzionale della riforma Delrio con la riforma delle Province, definizione delle funzioni fondamentali delle Città metropolitane e definizione di un quadro certo di finanza all’interno del quale si possano esercitare queste funzioni. A questo, va aggiunta l’introduzione di una disciplina legislativa statale rispettosa dell’autonomia delle regioni, volta a riordinare le province come enti di area vasta e a regolare i relativi rapporti con le regioni e i comuni in maniera larga ma uniforme nel territorio nazionale.

Raccomandazione 4.3i - Rilanciare l’associazionismo comunale come strumento di governo del territorio e occasione di riforma delle istituzioni

Abrogare l’obbligo a carico dei comuni di esercitare in forma associata le funzioni fondamentali. Adottare politiche differenziate, di semplificazione e di sostegno dei comuni che si associano, tenendo conto delle diverse caratteristiche territoriali, economiche e sociali. Privilegiare le Unioni dei comuni e le fusioni, considerando le prime come un necessario passaggio verso le seconde che costituiscono un obiettivo primario. Favorire la volontarietà dell’associazionismo con un processo di coinvolgimento da condurre insieme con le regioni e le nuove province. Superare i limiti demografici per la costituzione di gestioni associate e individuare ambiti omogenei di natura economica e sociale, mantenendo come prevalente il criterio della contiguità territoriale; introdurre robusti meccanismi incentivanti (finanziari ma non solo) in modo da creare situazioni attrattive di effettiva convenienza.


Piattaforme e servizi per la smart city

Con il procedere della implementazione delle infrastrutture di comunicazione (banda larga e ultralarga, wifi pubblici, etc.), lo sviluppo tecnologico dei sensori (in grado di raccogliere e trasmettere informazioni), la definizione di modelli sempre più sofisticati e conseguenti applicazioni in grado di trattare quantità enormi di dati, va aprendosi una nuova fase nel percorso di digitalizzazione delle città. Le reti funzionali (energia, gas, acqua, trasporti pubblici, illuminazione pubblica) sono in condizione di divenire sempre più “intelligenti” e quindi più efficaci ed efficienti; l’ecosistema urbano può essere sempre più monitorato in tutti i suoi aspetti (produzione e raccolta di rifiuti, qualità dell’aria, sicurezza, traffico, condizione degli edifici e delle infrastrutture); le interazioni sociali (lavoro, consumi, accesso ai servizi, relazioni sociali, partecipazione civile) possono moltiplicarsi e raffinarsi. Si aprono nuove opportunità ma anche nuove criticità sui fronti dell’accesso e dell’utilizzo di queste informazioni sia in forma aggregata sia, potenzialmente, in forma singolare e individuabile.

Raccomandazione 4.3l - Attuare una revisione delle regole di acquisizione dei servizi tecnologici-digitali

Tale raccomandazione vale sia in termini di procedure per il loro acquisto sul mercato sia in termini di modalità di definizione delle partnership pubblico-privato che appaiono cruciali in questi ambiti e che non appaiono regolate in modo efficace dalle attuali normative sugli appalti di servizi. Naturalmente esiste anche un problema di risorse dedicate, quantomeno in termini di deroga ai vincoli di spesa per gli investimenti effettuati in questo ambito, finanziati con i risparmi realizzati.

Raccomandazione 4.3m - Approfondire la questione dell’acquisizione e dell’utilizzo delle informazioni

Anche questo aspetto sembra richiedere un approfondimento della regolazione, principalmente, ma non esclusivamente, relativamente alle problematiche della privacy.

Raccomandazione 4.3n - Creare un luogo di regia/consultazione a livello centrale cui le amministrazioni locali possano riferirsi per avere supporto nelle loro scelte e nei loro impegni

Questo può tradursi nella elaborazione, possibilmente partecipata, di linea guida nazionali e di sedi di interscambio delle esperienze. Un processo di trasformazione delle reti urbane di questa portata e di questa complessità deve fondarsi sull’iniziativa locale, sulla capacità delle singole amministrazioni di individuare necessità e priorità, ma va inserito in un quadro generale che dia la direzione di marcia e supporti tecnicamente e metodologicamente l’azione locale.


4.4 Energia e ambiente

Negli ultimi anni è aumentato il livello di priorità attribuito alle politiche ambientali, si rilevano diverse iniziative intraprese a livello globale e nazionale per favorire politiche territoriali e inglobare azioni di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici nella pianificazione. Nel corso degli ultimi due anni, in Italia, sono state messe in campo una serie di iniziative che traducono in atti concreti l’Accordo di Parigi sui

cambiamenti climatici, sottoscritto da 175 Paesi ed entrato in vigore il 4 novembre del 2016.

La priorità per il futuro è quindi l’attuazione dell’Accordo di Parigi nell’ambito del quadro sovraordinato della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS). A livello europeo, molte sono state le novità intercorse nell’ultimo anno. Il 18 aprile scorso è stato approvato dal Parlamento Europeo il pacchetto legislativo sull’Economia Circolare. La normativa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale e dovrà essere recepita dagli Stati membri nei propri ordinamenti, entro il 5 luglio 2020.


Strategia Nazionale Energetica (SEN)

La Strategia Energetica Nazionale rappresenta per l’Italia una decisa spinta verso la sostenibilità e, insieme al Piano Industria 4.0, uno dei grandi assi di sviluppo della politica industriale da qui al 2030. 175 miliardi di investimenti per costruire un sistema più competitivo, garantendo non solo energia a minor costo per cittadini e imprese ma anche lo sviluppo di nuovi mercati e nuova occupazione; più sostenibile attraverso l’efficienza nei consumi, il risparmio energetico e la mobilità elettrica; più sicuro migliorando la sicurezza delle infrastrutture e la flessibilità dell’offerta.

La Strategia, coerentemente con gli obiettivi ambiziosi e complessi che si prefigge, assume valore non soltanto per i contenuti che esprime ma anche per il modello partecipativo adottato, essendo il frutto di un percorso partecipato a cui hanno contribuito regioni, EELL e oltre 250 tra associazioni, imprese e mondo della ricerca.

Raccomandazione 4.4a - Applicare il modello partecipativo, sperimentato con la SEN, anche alle fasi successive che andranno sviluppate

Tale modello permette di rafforzare la collaborazione tra istituzioni ed aziende e la coerenza delle azioni nel medio-lungo termine, condizioni necessarie per consolidare e portare avanti la Strategia nella prossima legislatura. Non bastano tuttavia PA e imprese, il terzo soggetto da coinvolgere sono i cittadini che avranno un ruolo sempre più rilevante nel raggiungimento degli obiettivi grazie al risparmio energetico ed al mutamento delle abitudini di consumo da parte delle famiglie e delle comunità locali. A tal fine, occorre attivare progetti di educazione e promozione di modelli sostenibili di produzione e di consumo, rivolti ai cittadini e alle aziende.

Raccomandazione 4.4b - Conferire forza al ruolo dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente

È opportuno riconoscere e rilanciare il compito dell’Autorità sia di creare un ambiente di mercato in cui l’informazione sia accessibile e trasparente a tutti i soggetti, sia di determinare indirizzi, strumenti efficaci e regole di attuazione della Strategia. Tale funzione è ben distinta dalla funzione di policy making dello Stato rappresentata da Governo e Parlamento.

Raccomandazione 4.4c - Mantenere forte il focus sulla sostenibilità ambientale della Strategia energetica

Occorre mantenere viva l’attenzione al tema della sostenibilità ambientale, da un lato inserendola in una visione più ampia di sviluppo del Paese legato alla Green economy, dall’altro valutando attentamente l’impatto ambientale delle azioni messe campo su consumo di suolo, qualità dell’aria e delle acque, etc. Sul tema del consumo di suolo, ad esempio, è necessario dotarsi di piani urbanistici coerenti e di una politica di recupero e bonifica dei siti di interesse nazionale che riducano l’occupazione di suolo agricolo.

Raccomandazione 4.4d - Prestare maggiore attenzione e coinvolgimento degli EELL

Per garantire una ricaduta efficace delle diverse misure è necessario prestare maggiore attenzione al coinvolgimento degli enti locali. Le amministrazioni locali sono soggetti che contribuiscono in maniera rilevante, positivamente o negativamente, al raggiungimento degli obiettivi. Ambiti come la mobilità e l’efficienza energetica, l’illuminazione pubblica, la riqualificazione di edifici pubblici rientrano a pieno titolo tra le funzioni dei comuni i quali devono certamente veder potenziati gli strumenti a disposizione, sia in termini di incentivi sia in termini di crescita delle capacità e competenze amministrative in ambito energetico.

Raccomandazione 4.4e - Integrare la SEN nel quadro delle strategie europee

Oggi una politica energetica attuata in Italia ha riflessi attivi e passivi sugli altri Paesi, importando ed esportando effetti rispetto alle altre strategie europee.


Economia circolare

L’economia circolare segna il passaggio da un modello lineare di produzione a un modello circolare e consiste nell’assunzione di tre semplici assiomi: riciclare (scarti non riutilizzabili), ridurre (sprechi di materie prime) riutilizzare (estendendo il ciclo di vita dei prodotti). In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. Per realizzarla serve rispettare tre principi:

  • Riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia prima: raccolta dei rifiuti, riciclo, riutilizzo, gestione degli output produttivi, scarti agricoli (bioeconomia);
  • Fine dello spreco d’uso del prodotto (unused value), prima ancora di essere scartato. Favorire condivisione e uso collettivo, con l’introduzione di prodotti di business;
  • Fermare la morte prematura della materia. Allungamento tempi di vita del prodotto, facilità di riparazione, upgrading, sostituzione, refilling, ecc., sono alcune delle strategie necessarie da adottare per ritardare il più possibile la rigenerazione/riciclo della materia.

Un ampio slancio a questa economia è dato dal ruolo svolto dalla PA nell’adozione di atti autoritativi, nelle attività di programmazione, negli impegni di regolazione del mercato delle imprese, nel creare nuove opportunità e pratiche di condivisione.

Con D.Lgs 50/2016, il GPP è diventato obbligatorio ed è stata garantita l’applicazione dei CAM (Criteri Ambientali Minimi) nelle gare pubbliche. Questo obbligo si incardina in un contesto di normativa di derivazione comunitaria, di atti di indirizzo comunitari, di comunicazioni della Commissione Europea sull’economia circolare - COM (2014) 398 e COM (2015) 614 - e sull’uso efficiente delle risorse - COM (2011) 21 e COM (2011) 571, di accordi internazionali, come l’Accordo sul clima di Parigi, che impongono l’adozione di tutte le misure efficaci per promuovere modelli di economia circolare, l’efficienza nell’uso delle risorse e dell’energia, il minor impiego e dispersione di sostanze chimiche pericolose.

Dopo tre anni di trattative, il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo lo scorso aprile, ha dato il via libera al cosiddetto “Pacchetto sull’Economia Circolare”, costituito da quattro direttive sui rifiuti, sulle discariche, sugli imballaggi e sui veicoli fuori uso, pensato per combinare ambientalismo e crescita economica.

Raccomandazione 4.4f - Recepire con rapidità le Direttive ed anticipare strategie importanti come eco-design, strategia sulla plastica, rafforzamento della responsabilità estesa di prodotto

Per il nostro Paese il recepimento delle Direttive europee comporterà un profondo rinnovamento della normativa sui rifiuti, lo sviluppo di strumenti di eco-design e dei mercati di materie prime e seconde, la cooperazione tra regioni sul riciclo e sull’ottimizzazione dei rifiuti, permetterà che qualsiasi persona fisica o giuridica che sviluppi, fabbrichi, trasformi, venda o importi prodotti sia soggetto ad una responsabilità estesa del produttore.

Raccomandazione 4.4g - Mappare l’esistente sul tema

l’Italia oggi offre numerose esperienze di economia circolare. Per una migliore comprensione dell’estensione del fenomeno e una migliore programmazione economica serve mappare con attenzione questi flussi.

Raccomandazione 4.4h - Definire i criteri per il passaporto dei materiali

Riconoscere i materiali di cui un oggetto è composto diviene fondamentale per gestire il suo fine vita, aumentando la tracciabilità dei flussi, anche impiegando blockchain, combattendo così l’illegalità.

Raccomandazione 4.4i - Creare uno standard Circular Economy

Quando si realizzano gare d’appalto è essenziale esplicitare i requisiti Circular Economy (CE), formando però allo stesso tempo le aziende attraverso i processi di innovazione. Serve impiegare le certificazioni ambientali e sociali esistenti. Se si analizza la conformità ai CAM delle aziende rispondenti ai bandi della PA, in particolare in relazione al CAM edilizia 2017, notiamo come l’adesione totale a questi obiettivi si riscontra solamente nel 6% dei partecipanti. Occorre investire in ricerca e sviluppo, sia presso le università che gli appositi centri (pubblici e privati); sostenere progetti di studio, ricerca e comunicazione per approfondire gli innumerevoli temi dell’economia circolare; sostenere gli incubatori della CE.


Sharing Economy

La sharing economy nel nostro Paese si configura come settore in divenire. I numeri di mercato si riferiscono a piccole realtà locali, o piattaforme verticali su risultati specifici e poco impositivi. Eppure le piattaforme collaborative dovrebbero suscitare interesse nella PA e in particolare negli enti locali, favoriti dalla riforma Delrio che consolida la cultura della condivisione di funzioni e servizi nella pubblica amministrazione.

Dal ddl proposto da alcuni parlamentari all’Intergruppo Innovazione nel 2016 ad oggi non sono stati fatti passi avanti così evidenti. La sharing economy è ancora in una fase sperimentale, mentre l’ambito che sta crescendo di più senza dubbio è quello dell’innovazione sociale, cioè tutte quelle realtà che più che orientarsi al mercato lavorano sulle reti di relazioni, quale valore aggiunto della filiera produttiva. Quello che nel nostro Paese dovrebbe essere implementato è la ricomposizione di un tessuto sociale che sia in grado di agire in collaborazione con le pubbliche amministrazioni e gli enti locali.

In questo momento l’interesse delle piattaforme a operare su scala locale è molto forte, con servizi di comunità urbane e stretti rapporti con decisori sia pubblici che privati, in grado di sostenere le imprese con donazioni e finanziamenti. Su scala nazionale e internazionale, invece, non esistono modelli competitivi (se non riconducibili a piattaforme che usufruiscono di capitali specifici).

Raccomandazione 4.4l - Riqualificare il tessuto sociale e mettere in produzione l’indotto che può venire dalla creazione di comunità

L’esigenza è oggi quella di non disperdere risorse per la progettazione, la produzione e la messa a disposizione di servizi che poi non rispondano alle reali esigenze dell’utente. E’ indispensabile captare le potenzialità di soluzioni alternative di tipo giuridico come le piattaforme collaborative, dove il design dei servizi è sempre più mirato, personalizzato ed efficace.

Raccomandazione 4.4m - Riprendere e accelerare il processo di valutazione del ddl sulle piattaforme collaborative basate sull’economia della condivisione

In particolar modo, rispetto alle disposizioni in materia di semplificazione della fiscalità, relativamente ad un’aliquota fissa per i redditi più bassi, e all’utilizzo del dispositivo del sostituto d’imposta[1][2].

Raccomandazione 4.4n - Implementare business model sostenibili e strumenti finanziari ad hoc

C’è un intervento da fare sulla costruzione di strumenti ad hoc per le imprese che realmente stanno cercando di crescere, quindi strumenti di venture capital. Ci sono interventi di tipo culturale da approntare, preparando le persone e avvicinandole al fenomeno. Il nostro resta, comunque, un paese che sta subendo un processo repentino di invecchiamento. Sono tanti gli interventi da fare e che andrebbero fatti, la strada è piuttosto lunga anche dal punto di vista digitale.


4.5 Istruzione e formazione

In Italia rimane tra le più basse in Europa, e sotto la media europea (39%), la percentuale di coloro che hanno un livello di formazione terziario: parliamo del 26% di giovani adulti tra i 30 e i 34 anni. Continua l’allarme circa l’elevata quota (tra il 15% e il 25%) di quindicenni che non raggiunge la soglia minima delle competenze giudicate indispensabili per potersi orientare negli studi, sul lavoro e più in generale nella vita; e continua anche la presenza di crescenti divari di genere nelle materie scientifiche e in matematica (indagini PISA 2015 e TIMSS 2015). Entrambe le questioni sono entrate nell’agenda politica, con l’alternanza scuola-lavoro (ASL) obbligatoria per tutti gli studenti di tutte le scuole superiori (introdotta dalla legge 107/2015) e la recente istituzione del “mese delle STEM» da parte del Miur, in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunità, che promuove le discipline STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics) tra le studentesse delle scuole di ogni ordine e grado. A queste si è aggiunto a gennaio 2018 il documento della cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa del Miur.


Povertà educativa e inclusione

In Italia solo l’11,6% dei bambini viene preso in carico dal Comune per i servizi della prima infanzia e solo l’1% frequenta servizi integrativi (Istat 2014-2015). E’ ampiamente dimostrato l’impatto positivo dei servizi per la prima infanzia sull’apprendimento, sulla prevenzione della dispersione scolastica e, più in generale, sulla riduzione delle diseguaglianze. Oggi la rete dei servizi per la prima infanzia è debolissima. Un buon inizio è stata l’istituzione, con il il D.lgs n. 65, del Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni. L’impegno è di assicurare servizi di qualità al 33% degli utenti potenziali compresi tra 0 e 3 anni e nel 75% dei comuni. I nodi da affrontare restano il coordinamento delle molteplici competenze (Enti locali, Regioni, Stato) e un riequilibrio della distribuzione territoriale dei servizi offerti.

Raccomandazione 4.5a - Prevedere adeguate misure di prevenzione del disagio e della dispersione scolastica e supportare l’inclusione e l’integrazione attraverso le tecnologie e la formazione ai docenti e alle famiglie

Prevedere attività di accompagnamento e formazione ai docenti e alle famiglie attraverso il raccordo con i CTS – Centri Territoriali di Supporto indispensabile, così come costruire un’Agenda nazionale di contrasto alla povertà educativa. Inoltre, è importante attivare percorsi di sostegno alla genitorialità, auto-aiuto, rapporto tra generazioni, educazione alla salute e prevenzione, educazione al consumo, prevenzione della violenza domestica, integrazione delle minoranze. Creare in sedi territoriali spazi a disposizione delle famiglie in difficoltà sia da un punto di vista tecnologico che informativo e formativo.


Finanziamenti

Nell’anno scolastico 2016-17 è stato reso noto l’avviso quadro delle azioni attivate a valere sul PON “Per la Scuola” 2014 – 2020, per complessivi 840 milioni di euro. Le 10 azioni sono state messe a punto e promosse in esplicito raccordo con l’Agenda 2030. Con la Legge di Bilancio 2016 viene istituito il Fondo dedicato al contrasto della povertà educativa minorile dotato di 120 milioni di euro all’anno. Tuttavia il sistema scolastico italiano risulta ancora sottofinanziato: la spesa pubblica per l’istruzione rappresenta solo il 4% del PIL, contro una media europea del 5%.

Raccomandazione 4.5b - Adottare soluzioni innovative e avviare percorsi di formazione per la progettazione e realizzazione dei progetti

Dare un supporto alle scuole nei processi più delicati della formazione:

  • nella progettazione dei bandi;
  • sulle modalità con cui ricevere, ricercare e rendicontare fondi;
  • nel rapporto con il territorio e con le aziende anche per progetti (sviluppare l’imprenditorialità giovanile).

Si mostra fondamentale supportare le scuole con una piattaforma regionale di fundraising per promuovere i propri progetti, prevedere delle figure di sistema per la progettazione (vedi la scarsa richiesta che vi è dei PON, solo il 30% circa sul finanziabile: la non conoscenza e la eccessiva burocratizzazione delle procedure amministrative di rendicontazione rischiano di far collassare le segreterie e il personale docente delle scuole che ottengono i finanziamenti).


Governance della scuola

La scuola ha bisogno di un profondo rinnovamento per adeguarsi al nuovo scenario e prepararsi al meglio per le sfide del futuro e nel rispetto delle esperienze passate, deve recuperare il proprio ruolo con nuove idee. Abbiamo bisogno di parole nuove, di dare concretezza ad una nuova visione, ai valori del rigore e della serietà. È necessario recuperare i fili spezzati fra generazioni, la qualità delle azioni contro il successo dei numeri. L’innovazione tecnologica è al centro di un ampio dibattito, al momento più orientato sul potenziale insito nelle tecnologie digitali rispetto all’effettivo uso che se ne fa all’interno del sistema scuola.

Raccomandazione 4.5c - Coinvolgere nei processi di cambiamento il personale della scuola, valorizzando le competenze (digitali e organizzative), ruolo e retribuzione

I Dirigenti scolastici devono essere coinvolti nel cambiamento della governance della scuola e si deve rafforzare il loro profilo professionale. I DSGA e il personale di segreteria devono aumentare di numero e ricevere competenze adeguate relativamente a: dematerializzazione dei documenti, nuove modalità di documentazione dei progetti messi in atto dalla scuola, organizzazione dei servizi scolastici in modalità cloud. Si deve dare inoltre il giusto riconoscimento economico della professione a docenti e dirigenti scolastici. È importante prevedere strumenti di premialità - non solo economica - per i docenti che hanno realizzato innovazione nelle loro attività didattiche e per i dirigenti scolastici che nelle rispettive scuole la promuovono. Identificare, infine, obiettivi strategici di sistema che dovrebbero valere come “missione” per le singole scuole, per il personale dirigente e docente, studenti, genitori, soggetti istituzionali.

Quando l’istituzione scolastica fa sistema con il contesto territoriale, le famiglie, le imprese, le organizzazioni sociali, gli organismi finanziari, la svolta anche in tempi di crisi finanziaria non tarda ad arrivare. Se invece prevalgono logiche di attesa o di chiusura al contesto sociale, l’innovazione non è garantita.

Raccomandazione 4.5d - Disegnare percorsi scolastici per obiettivi strategici

Identificare obiettivi strategici di sistema che dovrebbero valere come “missione” per le singole scuole, per il personale dirigente e docente, studenti, genitori, soggetti istituzionali. Organizzare per i ragazzi dei brevi stage presso aziende, da svolgere nel periodo estivo, che riconoscano crediti formativi. Valutare le aperture estive delle scuole, offrendo corsi di lingua, visite didattiche, materie extracurriculari.

Raccomandazione 4.5e - Pensare ad una leadership scolastica distribuita

Adottare un approccio di équipe alla leadership, in cui le funzioni di leadership non risiedono esclusivamente in una persona, ossia il dirigente scolastico, ma distribuite tra diversi soggetti nella e fuori della scuola.

Raccomandazione 4.5f - Promuovere metodi di insegnamento/apprendimento che traggono spunto dalle recenti ricerche in neuroscienze e in psicologia cognitiva

Dovrebbero essere considerate “utilmente” innovative le pratiche didattiche “brain-based learning” cioè quelle che adottano un insieme di metodi di insegnamento/apprendimento che traggono spunto dalle recenti ricerche in neuroscienze e in psicologia cognitiva e che descrivono le modalità con cui il cervello umano apprende. L’assunto di base è che una didattica efficace non può prescindere da una conoscenza approfondita dei processi cerebrali che sottostanno all’apprendimento. In detta prospettiva anche le tecnologie possono fungere da interessante connettore mente-conoscenza.

Footnotes

[1]L’Art. 5 del ddl prevede un’imposta del 10% fino a 10 mila euro di reddito per le piattaforme collaborative, e stabilisce che queste agiscano come sostituto d’imposta. L’articolo 5 disciplina anche i redditi eccedenti tale soglia, che saranno invece cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo, applicando a questi ultimi l’aliquota corrispondene.
[2]Su questo punto, in data 20 giugno è stata inviata dalla Presidenza della Regione Lazio una proposta di legge al Ministero del Lavoro sulla gig economy.

Chi ha contribuito

Il Libro bianco sull’innovazione della PA è un’opera collettiva, frutto della rielaborazione dei contenuti offerti dagli oltre 300 contributori, tra relatori di FORUM PA 2018, autori della rubrica “Caro governo” e commentatori della prima versione del documento su ReadTheDocs.

Caterina Acquarone
Adriana Agrimi
Stefano Aiello
Filomena Albano
Marta Almela Salvador
Marco Alongi
Vittorio Alvino
Giacomo Angeloni
Federico Anghelè
Cristiano Annovi
Gaetano Armao
Carlo Maria Arpaia
Luca Attias
Francesca Bagni Cipriani
Giovanni Bajo
Marco Baldi
Irene Baldriga
Marco Bani
Dianora Bardi
Stefano Battini
Antonio Battistini
Chiara Battistoni
Sara Belli
Mauro Bellini
Alessio Beltrame
Padre Paolo Benanti
Michele Benedetti
Roberto Benedetti
Rosina Bentivenga
Marco Bentivogli
Fulvio Oscar Benussi
Michele Bertola
Francesco Bevere
Claudio Biancalana
Giovanni Biondi
Vittorio Bitteleri
Maria Claudia Bodino
Nicoletta Boldrini
Emanuele Bompan
Mauro Bonaretti
Alessandra Bonetti
Antonio Bosio
Renato Botti
Giorgio Brandi
Matteo Brunati
Dimitri Brunetti
Enza Bruno Bossio
Andrea Buttol
Fabrizio Caccavello
Mirko Calvaresi
Leonardo Cannavò
Daniela Carlà
Gabriele Carones
Paolo Cascione
Laura Castellani
Silvia Castellanza
Elio Catania
Luca Cellesi
Sabrina Chibbaro
Dante Ciantra
Pietro Citarella
Marco Ciurcina
Pina Civitella
Fabrizio Cobis
Angela Cocchiarella
Roberta Cocco
Gianluigi Cogo
Mario Collevecchio
Paolo Colli Franzone
Claudio Contardi
Ilaria Coppa
Pierluigi Coppola
Stefano Corrado
Mariano Corso
Beatrice Costa
Palma Costi
Fiorella Crespi
Daniele Crespi
Gianfranco D’Alessio
Vincenzo Damato
Simone D’Antonio
Romolo de Camillis
Francesca De Chiara
Marco De Giorgi
Fabio De Luigi
Alessandra De Marco
Elena De Nictolis
Marco De Ponte
Paolo De Rosa
Matteo De Santi
Maria Giovanna De Vivo
Enrico Deidda Gagliardo
Maurizio Ferruccio Del Conte
Giulio Del Federico
Alessandro Delli Noci
Enrico Desideri
Ettore Di Cesare
Marco Di Ciano
Francesco Di Costanzo
Luigi Di Matteo
Antongiulio Donà
Paolo Donzelli
Mauro Draoli
Sergio Duretti
Lorenzo Fabbri
Simona Faccioli
Paola Maria Fantini
Valeria Fascione
Marieva Favoino
Linda Fedele
Massimo Fedeli
Alfredo Ferrante
Luigi Ferrara
Ludovica Carla Ferrari
Claudio Fini
Luca Flecchia
Francesco Frieri
Stefano Fuligni
Massimo Fustini
Luisa Gabbi
Monica Gabrielli
Francesca Gagliarducci
Luca Galandra
Marina Galluzzo
Roberto Garavaglia
Raffaele Gareri
Gianluca Garro
Luca Gastaldi
Leandro Gelasi
Michele Gentile
Giovanni Gentili
Patrizia Gentili
Manuela Gianni
Maria Carmela Giarratano
Annamaria Gillone
Marco Giorgi
Maria Pia Giovannini
Claudio Gnessi
Cristina Grieco
Mariella Guercio
Caterina Guercio
Caterina Guercio
Elio Gullo
Salvatore Iaconesi
Giuseppe Iacono
Christian Iaione
Marco Icardi
Daniela Intravaia
Lorenzo Ivaldi
Hu Kun
Francesco La Camera
Stefano Laporta
Marco Laudonio
Sebastiano Leo
Nicoletta Levi
David Licursi
Raffaele Lillo
Lorenzo Lipparini
Andrea Lisi
Giorgia Lodi
Alessandro Longo
Valentina Lostorto
Fabrizio Lucci
Sara Luisa Mintrone
Emanuele Madini
Piera Magnatti
Alessandro Magnino
Fabio Malagnino
Gianmatteo Manghi
Maurizio Manzi
Gabriele Marchese
Pietro Marchionni
Pia Marconi
Flavia Marzano
Cristina Masella
Carlo Mauceli
Michele Melchionda
Giovanni Mellini
Marco Meneguzzo
Paolo Menesatti
Antonio Menghini
Alessandro Menna
Antonio Meola
Federica Meta
Mirta Michilli
Raffaella Milano
Mauro Minenna
Serenella Molendini
Roberto Monaco
Sonia Montegiove
Danilo Moriero
Andrea Morniroli
Giorgio Mosca
Michele Munafò
Antonio Naddeo
Giovanni Napoli
Giuseppe Navanteri
Lidia Nazzaro
Andrea Nicolini
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Mario Nobile
Giuliano Noci
Alfredo Nulli
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Emiliano Palermo
Massimiliano Pampaloni
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Paolo Paoloni
Domenico Paolucci
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Vincenzo Patruno
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Antonello Pellegrino
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Caterina Perniconi
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Raccolta dei contenuti, dei commenti, editing dei testi, architettura del documento:

  • Carlo Mochi Sismondi (FPA)
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